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«ERA dall’estate scorsa che lo si vedeva pensieroso, direi quasi triste». Luigi Accattoli, 70 anni, è il decano dei vaticanisti. Ha trascorso poco più di un trentennio tra Repubblica e Corriere della Sera a raccontare i pontefici, i loro gesti, i loro messaggi, la curia che li circondava. Ora, in pensione, si dedica all’attività di conferenziere, saggista, editorialista. E il suo occhio continua a leggere tra le pieghe di ciò che avviene oltre Tevere.
Accattoli, Benedetto XVI il 21 gennaio parlando con i vescovi calabresi diede loro appuntamento a maggio per l’assemblea della Cei: possibile che non avesse ancora deciso le sue dimissioni?
«Ci stava sicuramente pensando. L’atteggiamento misterioso che abbiamo notato negli ultimi mesi lascia ipotizzare che nella pausa trascorsa a Castel Gandolfo abbia messo in cantiere questa riflessione. Poi la decisione sarà subentrata negli ultimi giorni, forse dopo l’incontro con i presuli della Calabria. Ma quello che è certo è che ha deciso da solo».
Cosa lo fa dedurre?
«Sapeva che i suoi predecessori che avevano meditato una scelta simile erano stati dissuasi dai loro collaboratori più fidati».
Secondo il cardinale Bagnaso è stata una decisione sintomo di una «profonda libertà interiore». Ma non c’è il rischio che alcuni cattolici la vedano invece come un segno di debolezza, specie nell’immancabile confronto con Giovanni Paolo II?
«Dal confronto risulta invece la modernità di Benedetto XVI rispetto a Giovanni Paolo II. E’ un superamento della spiritualità sacrificale della figura papale ricevuta dai secoli. Con Wojtyla il pontefice non ha più una dimensione nazionale, non appartiene più a se stesso, non può cessare di essere papa. Valeva anche Paolo VI, per Giovanni XXIII che nell’ultimo anno aveva un tumore allo stomaco, per Pio XII che aveva una malattia al sistema nervoso. Benedetto XVI, invece, va oltre: sulla dimensione eroica lui fa prevalere la sua attitudine di umile servitore».
A Serra San Bruno, nel 2011, il Papa esaltò la scelta del silenzio e della solitudine. Pensa che rivedremo in pubblico Joseph Ratzinger?
«No, non apparirà per evitare di gettare ombre che farebbero poi discutere su ogni sua successiva assenza. E non parlerà perché c’è il rischio che una sua frase possa essere estrapolata per farne un uso distorto. In questo senso è significativa la scelta di ritirarsi a Castel Gandolfo nei giorni del Conclave: lì nessun giornalista potrà avvicinarlo».
A prescindere dai nomi dei papabili, quale sarà il tema cruciale che dovranno affrontare i cardinali nelle riunioni preliminari alla scelta del successore del Papa tedesco?
«C’è un libro di Bernard Lecomte su Benedetto XVI. Il titolo è “L’ultimo Papa europeo”. Ecco, credo che il tema del preconclave possa essere questo: è giunta l’ora di andare oltre l’Europa. Magari verso l’America Latina».
an. gua.

«ERA dall’estate scorsa che lo si vedeva pensieroso, direi quasi triste». Luigi Accattoli, 70 anni, è il decano dei vaticanisti. Ha trascorso poco più di un trentennio tra Repubblica e Corriere della Sera a raccontare i pontefici, i loro gesti, i loro messaggi, la curia che li circondava. Ora, in pensione, si dedica all’attività di conferenziere, saggista, editorialista. E il suo occhio continua a leggere tra le pieghe di ciò che avviene oltre Tevere.

 

Accattoli, Benedetto XVI il 21 gennaio parlando con i vescovi calabresi diede loro appuntamento a maggio per l’assemblea della Cei: possibile che non avesse ancora deciso le sue dimissioni?

«Ci stava sicuramente pensando. L’atteggiamento misterioso che abbiamo notato negli ultimi mesi lascia ipotizzare che nella pausa trascorsa a Castel Gandolfo abbia messo in cantiere questa riflessione. Poi la decisione sarà subentrata negli ultimi giorni, forse quando aveva già incontrato i presuli della Calabria. Ma quello che è certo è che ha deciso da solo».

Cosa lo fa dedurre?

«Sapeva che i suoi predecessori che avevano meditato una scelta simile erano stati dissuasi dai loro collaboratori più fidati».

Secondo il cardinale Bagnaso è stata una decisione sintomo di una «profonda libertà interiore». Ma non c’è il rischio che alcuni cattolici la vedano invece come un segno di debolezza, specie nell’immancabile confronto con Giovanni Paolo II?

«Dal confronto risulta invece la modernità di Benedetto XVI rispetto a Giovanni Paolo II. E’ un superamento della spiritualità sacrificale della figura papale ricevuta dai secoli. Con Wojtyla il pontefice non ha più una dimensione nazionale, non appartiene più a se stesso, non può cessare di essere papa. Valeva anche Paolo VI, per Giovanni XXIII che nell’ultimo anno aveva un tumore allo stomaco, per Pio XII che aveva una malattia al sistema nervoso. Benedetto XVI, invece, va oltre: sulla dimensione eroica lui fa prevalere la sua attitudine di umile servitore».

A Serra San Bruno, nel 2011, il Papa esaltò la scelta del silenzio e della solitudine. Pensa che rivedremo in pubblico Joseph Ratzinger?

«No, non apparirà per evitare di gettare ombre che farebbero poi discutere su ogni sua successiva assenza. E non parlerà perché c’è il rischio che una sua frase possa essere estrapolata per farne un uso distorto. In questo senso è significativa la scelta di ritirarsi a Castel Gandolfo nei giorni del Conclave: lì nessun giornalista potrà avvicinarlo».

A prescindere dai nomi dei papabili, quale sarà il tema cruciale che dovranno affrontare i cardinali nelle riunioni preliminari alla scelta del successore del Papa tedesco?

«C’è un libro di Bernard Lecomte su Benedetto XVI. Il titolo è “L’ultimo Papa europeo”. Ecco, credo che il tema del preconclave possa essere questo: è giunta l’ora di andare oltre l’Europa. Magari verso l’America Latina».

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