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AVEVA dato loro un appuntamento: a maggio, per l’assemblea generale della Cei, quando avrebbe dovuto parlare davanti ai presuli di tutta Italia. E così ieri, davanti all’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI i vescovi calabresi erano increduli. Qualcuno di loro ha ripreso in mano la croce pettorale ricevuta in dono proprio venti giorni fa in Vaticano. Tutti, invece hanno ripensato a quelle parole pronunciate dal pontefice dopo aver ascoltato il racconto di ciò che avviene nelle dodici diocesi della Regione: «Come il maligno non dorme, noi siamo chiamati a non dormire con la nostra fede».
L’INCONTRO DI GENNAIO – E’ l’ultima esortazione di papa Ratzinger per i calabresi. L’ha pronunciata in occasione della visita ad limina apostolorum che a turno richiama periodicamente nella sede apostolica i presuli di tutto il mondo per riferire al pontefice le vicende delle Chiese locali. La Conferenza episcopale calabra è stata ricevuta tra il 21 e il 23 gennaio. In due gruppi da sei e non singolarmente, come avveniva in passato: un altro segno che era stato interpretato come emblematico della stanchezza di Benedetto XVI. «Certo, si vedeva che era provato, l’abbiamo trovato dimagrito – svela l’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone -. Ma era lucidissimo, tanto che appena mi ha visto si è ricordato di padre Puglisi: mi ha subito chiesto quando fosse la beatificazione», ha aggiunto il presule che è anche postulatore della causa. Ma con i vescovi, racconta Bertolone, il Papa ha parlato poi solo di una Calabria «in cui le difficoltà sono maggiori, ma maggiore è anche il calore della gente». 
E proprio la gente di Calabria Benedetto XVI ha affidato ai presuli. Spiega l’arcivescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari, che il pontefice ha raccomandato di curare la religiosità popolare, «che è una risorsa dalla quale rimuovere le incrostazioni legate alle superstizioni e soprattutto alle infiltrazioni della ‘ndrangheta». Un passaggio, quest’ultimo, che è rimasto impresso anche al vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo. Nel 2010 lui si trovò a gestire il caso del rito dell’Affruntata sul quale volevano allungare le mani i boss. «Un tema ancora d’attualità: ne abbiamo discusso anche con il pontefice che ci ha raccomandato di essere vigili» racconta Renzo.
Ma dal colloquio è emersa anche un’indicazione per affrontare la questione della disoccupazione giovanile. E’ il vescovo di Lamezia Luigi Cantafora a ricordarlo:  «E’ un problema che preoccupa molto il Papa che, tuttavia, ha messo in evidenza che, ad una fede profonda corrisponde una rinascita in tutti i settori, quindi anche nel settore lavoro».
LA CARITA’ COME SOLUZIONE ALLA CRISI – Religiosità, ‘ndrangheta, lavoro: c’erano i temi della fede ma anche quelli della premura sociale in quel messaggio che, solo oggi, si scopre essere un congedo di Benedetto XVI. E’ stato il sigillo su un rapporto iniziato nel dicembre 2006, venti mesi dopo l’avvento di Ratzinger sul soglio papale, quando i vescovi della regione furono ricevuti per la prima volta in visita ad limina apostolorum. In quell’occasione il pontefice invitò ad «attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per promuovere un’autentica rinascita morale, sociale ed economica della vostra Regione».
Poi, nel 2011, ci fu il giorno del viaggio nella diocesi di Lamezia e fino alla certosa di Serra San Bruno. Il tema focale, in quell’occasione fu la carità, indicata come opportunità da cogliere per il Mezzogiorno povero: la condizione necessaria per accedere al banchetto della speranza, disse, è «un profondo amore a Dio e al prossimo» che nel concreto si realizza nella «capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico» e, d’altra parte, nel rigetto degli «interessi di parte». Alla carità aggiunse poi la spiritualità che, sulla scia del carisma certosino è capace di «“bonificare” l’ambiente» che nella nostra società, «è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale».
L’EREDITA’ DI UN GESTO – Ma anche col gesto delle dimissioni, secondo i vescovi calabresi, Bendetto XVI ha voluto parlare alla gente. E il messaggio, stavolta è accomuna la gente di tutto il mondo. «Anche quelli che sono fuori dalla Chiesa», precisa monsignor Bertolone. «In certi momenti della vita – spiega – si deve avere il coraggio di fare un passo indietro. Lui lo ha fatto e questo è un esempio per chi vuole governare sempre e per chi pensa di essere sempre giovane» commenta l’arcivescovo di Catanzaro.
Ma è anche «il gesto ultimo di un uomo uomo libero» come lo definisce monsignor Nunnari, che aggiunge: «Ratzinger ha sempre parlato con grande sincerità. Da cardinale ha avuto il coraggio di denunciare “lo sporco” che c’è nella Chiesa. Ora se ne va con questo gesto di grande libertà interiore». 
«È la concretizzazione più impensabile ma più autentica dell’umiltà con la quale egli ha servito e continua a servire» dice l’arcivescovo di Rossano, Santo Marcianò: «L’umiltà di chi è talmente convinto che Dio regge la storia da non sentire indispensabile nulla, neppure il proprio ruolo. È un grande atto di fede che ci raggiunge proprio nel cuore dell’Anno della fede».

AVEVA dato loro un appuntamento: a maggio, per l’assemblea generale della Cei, quando avrebbe dovuto parlare davanti ai presuli di tutta Italia. E così ieri, davanti all’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI i vescovi calabresi erano increduli. Qualcuno di loro ha ripreso in mano la croce pettorale ricevuta in dono proprio venti giorni fa in Vaticano. Tutti, invece hanno ripensato a quelle parole pronunciate dal pontefice dopo aver ascoltato il racconto di ciò che avviene nelle dodici diocesi della Regione: «Come il maligno non dorme, noi siamo chiamati a non dormire con la nostra fede».

 

L’INCONTRO DI GENNAIO – E’ l’ultima esortazione di papa Ratzinger per i calabresi. L’ha pronunciata in occasione della visita ad limina apostolorum che a turno richiama periodicamente nella sede apostolica i presuli di tutto il mondo per riferire al pontefice le vicende delle Chiese locali. La Conferenza episcopale calabra è stata ricevuta tra il 21 e il 23 gennaio. In due gruppi da sei e non singolarmente, come avveniva in passato: un altro segno che era stato interpretato come emblematico della stanchezza di Benedetto XVI. «Certo, si vedeva che era provato, l’abbiamo trovato dimagrito – svela l’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone -. Ma era lucidissimo, tanto che appena mi ha visto si è ricordato di padre Puglisi: mi ha subito chiesto quando fosse la beatificazione», ha aggiunto il presule che è anche postulatore della causa. Ma con i vescovi, racconta Bertolone, il Papa ha parlato poi solo di una Calabria «in cui le difficoltà sono maggiori, ma maggiore è anche il calore della gente». E proprio la gente di Calabria Benedetto XVI ha affidato ai presuli. Spiega l’arcivescovo di Cosenza, Salvatore Nunnari, che il pontefice ha raccomandato di curare la religiosità popolare, «che è una risorsa dalla quale rimuovere le incrostazioni legate alle superstizioni e soprattutto alle infiltrazioni della ‘ndrangheta». Un passaggio, quest’ultimo, che è rimasto impresso anche al vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo. Nel 2010 lui si trovò a gestire il caso del rito dell’Affruntata sul quale volevano allungare le mani i boss. «Un tema ancora d’attualità: ne abbiamo discusso anche con il pontefice che ci ha raccomandato di essere vigili» racconta Renzo.
Ma dal colloquio è emersa anche un’indicazione per affrontare la questione della disoccupazione giovanile. E’ il vescovo di Lamezia Luigi Cantafora a ricordarlo:  «E’ un problema che preoccupa molto il Papa che, tuttavia, ha messo in evidenza che, ad una fede profonda corrisponde una rinascita in tutti i settori, quindi anche nel settore lavoro».

LA CARITA’ COME SOLUZIONE ALLA CRISI – Religiosità, ‘ndrangheta, lavoro: c’erano i temi della fede ma anche quelli della premura sociale in quel messaggio che, solo oggi, si scopre essere un congedo di Benedetto XVI. E’ stato il sigillo su un rapporto iniziato nel dicembre 2006, venti mesi dopo l’avvento di Ratzinger sul soglio papale, quando i vescovi della regione furono ricevuti per la prima volta in visita ad limina apostolorum. In quell’occasione il pontefice invitò ad «attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per promuovere un’autentica rinascita morale, sociale ed economica della vostra Regione».Poi, nel 2011, ci fu il giorno del viaggio nella diocesi di Lamezia e fino alla certosa di Serra San Bruno. Il tema focale, in quell’occasione fu la carità, indicata come opportunità da cogliere per il Mezzogiorno povero: la condizione necessaria per accedere al banchetto della speranza, disse, è «un profondo amore a Dio e al prossimo» che nel concreto si realizza nella «capacità di collaborare, di prendersi cura dell’altro e di ogni bene pubblico» e, d’altra parte, nel rigetto degli «interessi di parte». Alla carità aggiunse poi la spiritualità che, sulla scia del carisma certosino è capace di «“bonificare” l’ambiente» che nella nostra società, «è inquinato da una mentalità che non è cristiana, e nemmeno umana, perché dominata dagli interessi economici, preoccupata soltanto delle cose terrene e carente di una dimensione spirituale».

L’EREDITA’ DI UN GESTO – Ma anche col gesto delle dimissioni, secondo i vescovi calabresi, Bendetto XVI ha voluto parlare alla gente. E il messaggio, stavolta è accomuna la gente di tutto il mondo. «Anche quelli che sono fuori dalla Chiesa», precisa monsignor Bertolone. «In certi momenti della vita – spiega – si deve avere il coraggio di fare un passo indietro. Lui lo ha fatto e questo è un esempio per chi vuole governare sempre e per chi pensa di essere sempre giovane» commenta l’arcivescovo di Catanzaro.Ma è anche «il gesto ultimo di un uomo uomo libero» come lo definisce monsignor Nunnari, che aggiunge: «Ratzinger ha sempre parlato con grande sincerità. Da cardinale ha avuto il coraggio di denunciare “lo sporco” che c’è nella Chiesa. Ora se ne va con questo gesto di grande libertà interiore». «È la concretizzazione più impensabile ma più autentica dell’umiltà con la quale egli ha servito e continua a servire» dice l’arcivescovo di Rossano, Santo Marcianò: «L’umiltà di chi è talmente convinto che Dio regge la storia da non sentire indispensabile nulla, neppure il proprio ruolo. È un grande atto di fede che ci raggiunge proprio nel cuore dell’Anno della fede».

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