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ROMA – Ore di lavoro a schiena curva, sotto il sole, tra la terra e la polvere per vivere quel singolo istante. Vedere riaffiorare dal suolo un frammento di marmo che prelude a una grande scoperta. E’ tutto racchiuso in quell’attimo. Anni di studio sui libri, concorsi, speranze, il primo gruppo di scavo e poi tutti gli altri. Aurelia Lupi ha visto tutti i sacrifici del suo percorso di vita raggiungere uno scopo quando ha visto materializzarsi in quegli scavi di Ciampino la prima statua del gruppo di sette che ha costituito l’eccezionale scoperta archeologica. 

Lei, nata e cresciuta a Cosenza, laureata in Lettere classiche all’Università degli studi della Calabria, vive per lavoro e per amore a Roma da oltre sette anni. Qui è entrata nell’équipe della Soprintendenza ai beni archeologici del Lazio che tra giugno e luglio scorsi hanno avviato una campagna di sondaggi preventivi a Ciampino, su un’area interessata da un progetto di edilizia sulla via dei Laghi all’interno dei cosiddetti Muri dei Francesi. 
Ci racconta l’emozione di questa scoperta? 
«Era luglio. Lavoravamo in quel sito già da un po’ di tempo e avevo trovato una struttura, all’interno del perimetro di una villa romana appartenuta a Valerio Messalla Corvino, console del II secolo a. C., che sembrava una cisterna. Dopo aver isolato il perimetro, scavavo all’interno, nella parte del riempimento. Dopo aver tolto i primi strati di terra è venuto fuori un frammento marmoreo. Ho bloccato tutti perché era chiaro che apparteneva ad una statua e ho avvisato la Sovrintendenza. In quel momento ho provato un’emozione fortissima». 
Come sono venute fuori le altre statue e in che condizioni sono? 
«Al termine di delicate operazioni di scavo, ne sono venute alla luce sette, di cui sei quasi integre e una, maschile, più rovinata. La scoperta è stata tenuta riservata per mesi, proprio per motivi di sicurezza e solo dopo aver portato via le statue è stata resa pubblica. Ora è stato allertato l’istituto centrale di restauro che sta provvedendo a effettuare i primi tasselli di pulizia per capire quale sia il metodo di intervento più sicuro ed efficace. Solo dopo questa fase si passerà all’esposizione al pubblico». 
Qual è il valore economico e scientifico della scoperta? 
«Economicamente non è quantificabile, perché per tali reperti non c’è mercato. Sono beni che appartengono alla collettività. Dal punto di vista archeologico, invece, la scoperta è eccezionale perché non esistono molti ritrovamenti risalenti a quest’epoca e in modo numericamente così importante. Dal confronto con gli altri già conosciuti, si potranno avere novità sulla critica storica e artistica delle opere d’arte del periodo, ovvero la prima età imperiale» 
Le sarebbe piaciuto restare in Calabria e poter partecipare a una campagna di scavi altrettanto preziosa? 
«Sarebbe stato ed è tuttora il mio sogno. Non avrei voluto lasciare la mia terra, ma è inutile dirlo, le occasioni di lavoro lì non sono molte. Ho conosciuto mio marito, Dario Rose, anche lui di origini cosentine ma romano di nascita, proprio in provincia di Cosenza, durante un lavoro a Malvito. Ho avuto l’occasione di seguirlo a Roma ed entrambi siamo riusciti ad entrare nella Soprintendenza archeologica del Lazio. Ma, come dicevo, mi piacerebbe molto avere l’occasione di partecipare a una campagna di scavo in Calabria, visto che nel corso dei miei studi ho approfondito, in particolare, l’archeologia della Magna Grecia». 
L’archeologa Aurelia Lupia sogna la sua grande occasione “in patria”, ma per ora si gode il sapore di questa scoperta di grande portata, che ha restituito ai nostri occhi un tesoro dell’arte ispirato dai versi immortali di Ovidio.
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