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«C’E’ sempre qualcosa che sfugge. Qualcosa però che se non sta al suo posto la storia non prosegue, o se prosegue, prosegue a sbalzi, a spintoni. Fa salti di metri e metri per poi tornare indietro. Che sia questo il vero andamento dei desideri? Mi chiedo». E’ l’anima inquieta del protagonista di “La logica del desiderio” a parlare nel romanzo di Giuseppe Aloe che è entrato nella lista ristretta dei 12 finalisti del Premio Strega. Unico calabrese in lizza, cosentino di nascita, 50 anni, sposato con una donna portoghese e padre di un figlio di 11 anni.
Una vita da nomade…
«Sono nato a Cosenza, ma vivo a Milano. Sembrerebbe una nota amara, ma non lo è. A dire la verità penso di non essermi mai mosso da Cosenza. Anzi, dalla casa dove ho vissuto i primi 18 anni. Quando sogno una casa è sempre quella. Le stanze, gli angoli, i mobili. Sto ancora vagando in quella casa, anche se tutto il resto di me è andato via. Sono sposato da undici anni e ho un figlio di undici anni. In Portogallo ci vado più che posso. È un paese che non ha ancora conosciuto la forza distruttiva del consumismo illimitati. Ha ancora una profonda tradizione contadina che mitiga sapientemente l’assalto del capitale».
So che ha intenzione di fare una tetralogia e che è già al lavoro sul quarto romanzo. I temi sono follia, dolore, desiderio e infanzia. Era un’idea iniziale o l’ha maturata dopo i primi lavori?
«La verità è che uno parte con un’idea e poi si trova a svilupparne un’altra. La tetralogia è un piano di lavoro che data decine di anni. I temi sono già stati individuati da quando ho iniziato a scrivere. Posso dire che sono le “cose” che mi interessano. Ma ora per esempio sto concludendo un libro che con la tetralogia non c’entra niente. È la continuazione della Logica del desiderio. È nata così, per caso. sentivo che la storia non era finita. Ne mancava un pezzo importante. e così l’ho scritta».
Come mai proprio queste quattro direttive esistenziali? Non trova che, comunque, si intreccino una nell’altra senza soluzione di continuità?
«Non penso che ci siano argomenti più vicini alle radici della condizione umana che questi. Io di questo cerco di parlare: della condizione umana. Ne parlo come ne so parlare. Con il mio passo e la mia visione, ma credo che siano quattro temi fondanti e chiaramente intrecciati fra di loro. Non c’è dubbio».
Lei ha uno stile molto personale al quale è arrivato dopo molte ristesure e qualche rifiuto di pubblicazione. Non hai mai vissuto questi rifiuti con rassegnazione?
«Sì, lo stile è sul serio molto personale. Durante un dibattito pubblico un collega scrittore e critico mi ha chiesto dove mi dovesse collocare, perché lui non riusciva a trovare un posto per la mia scrittura. Chiaramente non gli ho saputo dare nessuna indicazione, ma questo mi ha confermato nella intenzione del mio lavoro di scrittore. Io non ho avuto qualche rifiuto di pubblicazione, io ho avuto diciotto anni di rifiuti editoriali a dire la verità non mi hanno scoraggiato più di tanto. Infatti ho sempre pensato che avessero ragione loro, gli editori, a rifiutare i miei lavori. E lo penso ancora».
Quindi non credeva in quei manoscritti?
«Non è questione di credere, è questione di sentire e di lavorarci sopra. Io non ho trascorso un solo giorno della mia vita cosciente senza leggere, studiare, annotare, raccogliere le idee. Questo è il mio lavoro. scrivere è solo una conseguenza del sentire in un certo modo e di lavorarci sopra».
Quanto di autobiografico si concede quando scrive?
«Beh, tutti gli scrittori partono dalla propria vita, ma intesa come esperienza, non come autobiografia. L’esperienza come l’intende Montaigne. È il reperto archeologico di noi stessi dal quale si parte per estrapolare una storia».
In una recente dichiarazione parlava della mafia, o meglio dell’atteggiamento degli uomini di mafia che vedeva passare in giro per Cosenza. Parlava della vanità come motore primo di ogni loro azione. Ha mai pensato di scrivere qualcosa ispirandosi a tali personaggi?
«No, non mi interessa la realtà dei fatti. M’interessa l’interpretazione dei fatti. La mera realtà, quello che ricade nella sfera del possibile non riesco neanche a vederlo, figuriamoci a scriverlo. Io faccio solo l’interprete. Per fare un esempio: io mi vedo come uno di quei traduttori simultanei, che invece di tradurre perfettamente le parole che ascolta, inizia a cambiare il senso della frase, costruisce nuovi concetti. Si dà un compito che fra naufragare il suo lavoro di traduttore, ma, in qualche modo lo libera».
La candidatura al premio Strega è stata una sorpresa?
«Giulio Perrone, il mio editore, me ne parlava da qualche tempo, quindi non è stata una vera e propria sorpresa. Ma devo dire francamente che la cosa mi ha fatto piacere. I premi sono importanti. Sono un modo di riconoscibilità del libro e dell’autore. Mi piacciono i premi».
Degli altri 17 nominati per lo Strega chi sono i tre autori che meriterebbero il podio? E invece può citare altri tre romanzi che meriterebbero il premio ma non sono stati nemmeno inseriti?
«Sicuramente “Qualcosa di scritto” di Emanuele Trevi e “Il silenzio dell’onda” di Gianrico Carofiglio. Se posso aggiungere un parola per Trevi, dovremmo ringraziarlo tutti per aver riaperto, anzi spalancato, la porta su un libro fondamentale e un autore fondamentale, Petrolio e Pasolini, una porta che si stava pericolosamente chiudendo. Meritava di essere della partita “Dove eravamo tutti” di Paolo di Paolo (Feltrinelli). È un romanzo notevole. Penso che sarebbe entrato facilmente in cinquina».
Alla fine delle diverse stesure del libro ci può dire se esiste una logica nel desiderio? E qual è la nostra possibilità di essere felici se qualsiasi equilibrio è destinato ad essere spezzato?
«Non esiste. La logica del desiderio è un ossimoro. E proprio perché non esiste che il desiderio, quindi il desiderio amoroso, è il detonatore più potente. Quello che scardina le ragioni della ragione. L’ebrezza del desiderio è così sconvolgente che, fin quando dura, non conosce ostacoli. È la vittoria dell’istinto sulla logica».
Le statistiche dicono che la Calabria è agli ultimi posti in fatto di lettori. Cosa direbbe per convincere i calabresi ad acquistare il suo libro?
«Cosa dire, se non che la lettura, specialmente quella che appassiona, ha la qualità di farci dimenticare di noi stessi. Quando siamo “immersi” in un libro, non sappiamo più di essere noi stessi, ma è proprio nella dimenticanza di noi che acquisiamo una più ampia conoscenza di noi. Perché stiamo arrivando dove non abbiamo mai pensato di arrivare».
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