Il piccolo Gennarino
4 minuti per la letturaCani e Persone: la storia dello “scugnizzo” Gennarino, della sua terribile esperienza e dell’amore di Nuvola
“Lo chiamai Gennarino perché il suo modo di fare e di camminare mi ricordavano tanto uno scugnizzo napoletano”. E di uno scugnizzo quel cane di appena dieci chili, aveva persino la vitalità e la capacità di strappare sorrisi.
Nuvola Naccarato di Rogliano in provincia di Cosenza, non ha mai dimenticato il suo primo incontro con Gennarino. “Era il 1 gennaio del 2011 ed ero a casa con la mia famiglia. Squillò il telefono, dall’altra parte del filo c’era un’amica di mia madre che ci chiedeva aiuto perché davanti casa sua, in località Balzata, una frazione di Rogliano, c’era un cane sanguinante. Un piccolo meticcio a pelo lungo, con una corda legata a una zampa. Subito ci mettemmo in macchina per raggiungerla e una volta arrivate ci trovammo davanti un cagnetto ridotto veramente male. Lo portammo a casa e il giorno successivo ci recammo dal veterinario per capire cosa poteva essergli successo. Dalla radiografia alla quale fu sottoposto, emerse una verità terribile: quel cane aveva addosso, sparsi in tutto il corpo, almeno trecento pallini di fucile. Uno gli aveva persino fatto perdere l’occhio sinistro”.
E non si poteva certo intervenire per toglierglieli tutti. Qualcuno, volontariamente, gli aveva sparato addosso. Tenendolo legato con una corda perché non potesse neanche tentare di sottrarsi a quella pioggia di piombo che gli arrivava da tutte le parti. Un gioco crudele che nessun cane sarebbe mai capace di immaginare o agire se non l’homo sapiens, che secondo Aristotele avrebbe dovuto distinguersi dagli altri animali per il possesso divino del logos che è ragione e linguaggio.
“Qualche giorno dopo Gennarino fu sottoposto a un delicato intervento chirurgico – ricorda Nuvola – riuscimmo a togliergli qualche pallino dalla zampa ma l’occhio ormai era perduto. Lo curai con tutta la tenerezza di cui ero capace perché consapevole di trovarmi davanti una creatura che aveva già pagato un prezzo molto alto. E dopo i primi giorni di convalescenza senza mai un lamento, né un minimo accenno all’insofferenza, mi trovai per casa quel concentrato di gioia e vitalità che mi faceva stare bene, rimettendo naturalmente a posto qualunque dissidio interno. Bastava guardare come camminava, con una leggera zoppia che gli conferiva un’andatura particolare, simpatica e tenera nel contempo, da non lasciare spazio ad alcuna incertezza. Volevo che quel cane diventasse il mio cane e il suo nome non poteva che essere Gennarino”.
Forse, Gennarino, sin dal primo sguardo diventò il cane di Nuvola, perché se è vero che lei gli ha aperto le porte di casa sua prendendosene cura ogni giorno, lui, nei dodici anni di vita insieme, come dicono i grandi maestri della cinofilia, l’ha sicuramente salvata da qualcosa. Già, quando un cane arriva nelle nostre vite, lo fa sempre perché è utile a uno scopo. Nel caso di Nuvola, Gennarino l’ha aiutata a reagire nei momenti di sconforto, l’ha affiancata nelle sue molteplici attività perché capiva con uno sguardo e sentiva le emozioni che l’attraversavano. Una magia, ecco cos’è il rapporto con un cane quando si incontrano due esseri pronti a donarsi l’uno all’altro.
“La danza dei biscotti è uno dei ricordi più struggenti che ho di Gennarino. Quando pronunciavo la parola “biscotti” arrivava in tutta fretta e dalla felicità cominciava a muoversi freneticamente dando vita a una piccola danza che strappava sorrisi e favoriva il buonumore. Per un biscotto si sottoponeva a ogni amorevole tortura, anche quella di stare fermo per farsi fotografare. Quando nel marzo del 2020 mia madre si ruppe piede e femore, lui andava avanti e indietro dalla sua camera per accertarsi che stesse bene”. Due mesi dopo, però, a maggio, le condizioni di salute di Gennarino precipitarono. Tutto il piombo che aveva addosso non solo gli provocarono continue infiammazioni intestinali ma anche numerose formazioni tumorali e un giorno, avvolto nella sua copertina, e circondato dall’amore di Nuvola, lasciò questa terra per raggiungere il ponte dell’arcobaleno, il paradiso dei cani, dove non ci sono fucili, né uomini crudeli.
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