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Trecroci e Graziadio: a ciascuno il suo cappello

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COSENZA – Il primo consiglio comunale non si scorda mai. E probabilmente quello di ieri pomeriggio, che ha visto insediarsi l’amministrazione targata Franz Caruso, non si scorderà per la mestizia. Nell’aula intitolata al compianto Antonino Catera, per oltre tre ore, luci soffuse, palpebre calanti e nessun colpo di scena. È come partecipare a una “strana” festa: vuoi andarci a tutti i costi, ma poi, quando ci sei dentro e ti rendi conto di cosa t’attende – musica che perlopiù non t’appassiona e acqua Fontenoce (questa c’era per davvero sui tavoli dei presenti) – chiami i tuoi genitori perché ti vengano subito a prendere e purtroppo loro non arrivano mai perché fuori c’è la ztl e un po’ di disordini su viale Parco e quindi, pace, è andata così. Alla fine l’hai voluta tu la bicicletta.

Eppure le buone intenzioni c’erano tutte. Lo dimostra la messa in piega delle consigliere, le quali chissà come avranno fatto a trovare un parrucchiere aperto di lunedì ché lo sanno tutti che il primo giorno della settimana i saloni di bellezza sono chiusi come le chiese quando ti vuoi confessare. Lo dimostrano, ancora, la cravatta delle grandi occasioni di De Cicco, il doppiopetto insieme al borsalino di Graziadio che nemmeno Gianni Agnelli, gli occhiali da sole in stile Ray Charles con cui Spadafora entra in aula credendo d’essere in missione per conto di Dio.

Tutto questo per dire che i 32 consiglieri e i 9 assessori ci tenevano davvero a rispettare il ruolo che dovranno ricoprire per cinque lunghi anni. A ogni modo tutta questa eleganza conferma quanto dice Lina Sotis («Cosenza è la Parigi del sud», sostiene la maestra del bon ton); tuttavia sembrerebbe vada sprecata per il motivo di cui si accennava: alla festa non c’è nessun sussulto. Forse solo un minimo batticuore quando il segretario generale, nell’affrontare uno dei punti all’ordine del giorno circa l’incompatibilità degli eletti, dice che su tale aspetto l’ufficio tributi si riserva di fare i dovuti controlli.

In quanto a noia, il “veterano” Antonio Ruffolo ad esempio ha l’espressione di uno che vorrebbe sbattere forte la porta della festa e andare no, non in Vietnam, ma a prendere un gelato da Zorro. Lo salvano le telefonate al cellulare e i selfie. Sì, per fortuna ci sono gli autoscatti e questi vanno forte tra i banchi della nuova compagine governativa. «Mi si nota di più se vado o se non vado?», potrebbe essere un buon hashtag da utilizzare in calce. Però – repetita iuvant – questo è un consiglio comunale che il filtro seppia ce l’ha già incorporato: movimenta la situazione solo il consigliere Frammartino, che ha una teoria su come prendere posto e scombina un po’ i piani; si siede tra le fila del centrodestra, perché tali sedute sono poste alla sinistra del sindaco (contorto spiegarlo, figuriamoci metterlo in pratica).

Ci sono poi elementi rassicuranti: la frangetta dell’assessore De Marco, il cappello da ribelle di Trecoci, l’appello (sacrosanto) di Francesco Alimena per la liberazione di Patrick Zaki, l’ex sindaco Perugini che veglia sul consiglio, partecipandovi seduto in mezzo ai cronisti, e il vestito low cost del vicesindaco Funaro che pare sottolineare ai cosentini: «Vi amministrerà una del popolo».

Alla fine, espletate tutte le procedure, è il padrone di casa a fare il suo discorso. Franz Caruso è realmente emozionato nel rivolgersi ai presenti: «Da quest’aula ai cittadini si restituirà l’immagine di una città bella». Speriamo bella, e che balli pure.

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