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Mario Occhiuto

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DEFINISCE la fusione delle città di Cosenza, Rende e Castrolibero un processo «necessario». Mario Occhiuto, ex sindaco di Cosenza per due lustri e oggi senatore di Forza Italia, nel dibattito (parecchio vivace) sulla città unica – per la quale c’è un progetto di legge regionale che ha già iniziato l’iter a Palazzo Campanella – è stato spesso tirato in mezzo. Anche come ‘suggeritore occulto’. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per una chiacchierata sul tema.

Senatore, partiamo subito dall’elefante nella stanza. Al netto della vicenda Ofin e dei suoi sviluppi, l’accelerazione sulla fusione tra Cosenza, Rende e Castrolibero, impressa dal centrodestra regionale, ha come obiettivo tornare al voto il prima possibile e farla eleggere sindaco della nuova città?

«Certo che no. E poi io sono senatore ora…».

D’accordo, ma non è certo incatenato a quella poltrona…

«Sarò più esplicito. Non ho nessuna intenzione né alcun interesse a fare di nuovo il sindaco. Lo sono stato per dieci anni. Peraltro, se proprio volessi farlo, non servirebbe certo la città unica. Se volessi, potrei ricandidarmi a Cosenza e avrei più probabilità di essere eletto qui rispetto alla città allargata. Come vede, quindi, è una fake news, diffusa da chi cerca alibi strumentali per bloccare quello che è un processo necessario».

Piuttosto drastico, in politica mai dire mai.

«La mia esperienza mi ha insegnato che più cose fai, più ti attiri critiche politiche e hai ripercussioni. Personalmente dei risultati che ho ottenuto come sindaco sono soddisfatto: Cosenza è arrivata ai vertici delle classifiche nazionali, ha riconquistato centralità, è diventata attrattiva. Una città in cui si è tornati a realizzare opere pubbliche, in una stagione di cantieri bloccati, e che è stata scenario di eventi mai visti. E non solo in Calabria».

E ora è in dissesto: il centrosinistra la attacca per questa ‘eredità’.

«Vogliamo parlare di eredità? Vogliamo ricordare in che condizioni io ho trovato il Comune e la città? Erano decisamente peggiori. Appena insediati abbiamo dovuto contrarre un mutuo da 150 milioni, con 10 milioni di interessi annui, solo per coprire una parte dei debiti ereditati. Sono i fatti a dirlo, non io. Ad aspettarmi, appena eletto, c’era un provvedimento della Corte dei Conti calabrese che prefigurava il dissesto, in assenza di interventi. Abbiamo quindi fatto ricorso al riequilibrio, il cosiddetto predissesto. E i vincoli erano gli stessi del dissesto. Con la differenza che almeno con il dissesto dimezzi i debiti che liquidi ai fornitori. Al dissesto poi si è arrivati perché, causa minori riscossioni rispetto agli obiettivi previsti, non è stato possibile rispettare il piano. Questi sono i fatti. E le opere che ho realizzato le ho fatte con fondi europei e fondi dedicati, comprese le somme destinate a eventi inaugurali».

Senatore Occhiuto, torniamo al tema della città unica. Perché la definisce necessaria?

«Intanto perché esiste già. Nella conurbazione fisica e nelle relazioni umane. Dobbiamo far sì ora che alla città fisica e alla città umana corrisponda anche una sola città amministrativa. Questo consentirà di dare servizi migliori a chi ci abita. Oggi non esiste un’unica rete dei trasporti urbani, non c’è un unico strumento di raccolta e un impianto di smaltimento. E poi, sulla questione ‘dimensionale’, smettiamolo di parlare di Grande Cosenza. La città unica, poco più di 100mila abitanti, sarebbe quanto un quartiere di Roma. Poco più grande di Catanzaro e la metà circa di Reggio Calabria, che sono capoluoghi di province molto più piccole di Cosenza».

La fa facile. Ma i dissensi sono tanti.

«Piuttosto vedo pretesti e resistenza».

E perché resistere?

«Direi che la ragione principale sia la riduzione delle poltrone, che conseguirà dalla fusione. Un sindaco invece di tre, tanto per iniziare, una sforbiciata ad assessori e consiglieri. Peraltro sono aumentate anche le indennità».

C’è un clima di forte contrapposizione. Il dubbio che si voglia chiudere anzitempo un’esperienza amministrativa non lo trova legittimo?

«Guardi, non credo che i termini siano un problema. Che passi o meno un altro anno conta poco, purché la città unica si faccia».

I Comuni ne fanno anche una questione di metodo. Con la proposta di legge per la fusione già depositata, è stato ritoccato l’iter eliminando il riferimento alle delibere comunali. Che non la prendessero bene c’era da aspettarselo, direi.

«Durante la mia sindacatura il Comune si era già espresso a favore. C’è una delibera, peraltro adottata nel primo anno del secondo mandato: eravamo pronti a chiudere prima la consiliatura per fare la città unica. E questo perché a noi le poltrone non interessavano. Io sono sempre stato a favore della città unica e con i fatti. Ma, detto questo, il processo verso la città unica deve partire dal basso, coinvolgendo i cittadini. E la norma prevede infatti il referendum consultivo».

Non vincolante, per questo i Comuni rivendicano un ruolo nell’iter.

«Sì, la Costituzione e le norme nazionali lo prevedono consultivo. Ma chi andrebbe mai avanti davanti a un chiaro voto negativo? In ogni caso i cittadini su questo tema sono molto più avanti di noi».

Ha letto la relazione della Corte dei Conti? Paventa il rischio che un’operazione simile, coinvolgendo comuni grandi, porti alla fine più svantaggi che vantaggi.

«Intanto la Corte dei Conti dice che va visto caso per caso e non fa riferimenti specifici. Ripeto, l’area urbana di Cosenza, Rende e Castrolibero è un unicum: una città che c’è già nei fatti. E poi ricordo che c’è un indirizzo nazionale: è il legislatore statale che incentiva le fusioni».

Dei piccoli Comuni…

«Non solo. Altrimenti perché avrebbe previsto, di recente, l’aumento dei contributi riconosciuti in caso di fusione, quando si supera la soglia dei 100mila abitanti?».

Qualcuno teme il salto nel buio. Per questo si caldeggia uno studio di fattibilità.

«La città unica non si realizza per l’oggi, ma per il futuro. Una città ha una vita più lunga di un uomo, i processi si adeguano: uno studio di fattibilità fatto ora sarebbe falsato da questo elemento. Le norme inoltre prevedono degli strumenti per gestire la fase transitoria. Per cinque anni è possibile per ciascun ex municipio mantenere lo stesso sistema contributivo, in attesa di armonizzare i bilanci. Quindi anche la questione del dissesto è un falso problema: Cosenza ne uscirà prima che la fase di transizione sia finita. Io credo che dovremmo approcciarci a questo dibattito senza pregiudizi e altri fini, stando attenti anche a quelle posizioni che nascondono interessi politici. Per quanto mi riguarda ritengo che la prima commissione regionale, con la presidente Luciana De Francesco, e i proponenti della legge di fusione, come Pierluigi Caputo, stiano lavorando molto bene: stanno sentendo tutti e sviluppando un’articolata discussione».

C’è una questione che si sta intrecciando inevitabilmente con la città unica, che è quella del nuova ospedale. Il Comune di Cosenza ha indicato Vaglio Lise, che era poi la sede ‘prescelta’ dallo studio di fattibilità, la Regione ora chiede un nuovo parere su Rende, area universitaria. Lei invece ha sempre sostenuto che l’attuale sito fosse il migliore. Ora che ne pensa, meglio Vaglio Lise o Arcavacata?

«Io resto della mia idea, ma non ne ho mai fatto una questione di campanile. Realizzare il nuovo ospedale nel sito dell’esistente avrebbe consentito una straordinaria operazione di rigenerazione urbana di quell’area, alle porte del centro storico. Era un’operazione di tipo urbanistico e il piano regolatore, finché sono stato sindaco io, assegnava a quell’area la destinazione ospedaliera. Ma se decidi di spostarlo, a quel punto cosa cambia tra Vaglio Lise e Unical? Anzi, nel secondo caso hai il vantaggio di insediare la struttura accanto a un polo di formazione sanitaria e scientifica di primo piano. Nella discussione sulla fusione, peraltro, questo tema non deve essere sottovalutato: la città unica che si vuole costruire avrà tra i suoi centri d’attrazione una grande università, che con la nuova governance sta conoscendo una fase di straordinario rilancio a livello nazionale, per immagine e capacità di incidere sui processi più innovativi del Paese. Anche per l’università sarebbe un vantaggio avere come sede una città capoluogo».

Accennava prima ai trasporti. Cosenza, così come Rende, ha la sua grande incompiuta che è la tranvia. E di questo passo lo sarà anche della futura città unica.

«Ciò che serve è un servizio di trasporto unico, che può essere la tranvia come pure un sistema di bus elettrici su sede dedicata, che colleghi il centro storico di Cosenza fino all’Unical, a Rende e a Castrolibero. E volendo ci sarebbe anche la linea ferrata esistente, adeguando i binari e riportandoli fino all’Unical: in dieci minuti porterebbe da piazza Matteotti all’università con un collegamento veloce. Quella sarebbe una vera metropolitana di superficie. Le soluzioni ci sono, bisogna lavorarci. C’è chi dice che la città unica sposterebbe ancora più a nord il baricentro, emarginando il centro storico: con un sistema di collegamenti potenziati, invece, la città antica rivivrebbe».

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