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Dimissioni a catena dei primari, reparti allagati, carico di lavoro insostenibile e poco personale: per l’ospedale di Cosenza serve una mobilitazione


Sembra quasi la sceneggiatura di un film a basso costo, quello con il cliffhanger messo apposta per tenere incollati gli spettatori tra il primo e il secondo tempo. Una luminare della chirurgia mondiale accetta di diventare docente dell’Unical, con tanto di proposta del rettore a nominarla primario di Chirurgia toracica nell’ospedale di Cosenza. Apriti cielo, 24 ore dopo si dimette il primario del pronto soccorso di Cosenza. E la classica pioggia d’agosto manda in tilt un ospedale che, strutturalmente, non si fa torto a chiamarlo vecchio catorcio.

Ying e yang, due facce della stessa medaglia. Solo che la seconda è quella che si manifesta di più nel tiro alle probabilità quando si parla dell’ospedale di Cosenza. Come è possibile che un pronto soccorso ristrutturato in circa un anno, con fondi Covid disponibili (e non spesi) per quattro lunghissimi anni e una pandemia in mezzo, alla prima pioggia diventi una piscina per ranocchie (LEGGI LA NOTIZIA) nell’area di accesso delle ambulanze e dei codici rossi? Come è possibile che nei corridoi davanti la nuova Rianimazione un tubo di raccolta dell’acqua intasato faccia scivolare litri d’acqua a cascata dentro i corridoi? E l’ufficio ticket? Abbiamo visto i video di acqua riversata nella sala d’attesa, sulle stampanti, sui computer. E ancora: Ematologia al Mariano Santo (altro plesso, altra struttura, stessi problemi).

Non si dica che sono problemi straordinari. Da tempo registriamo casi ormai “standard” di pioggia nell’ospedale. Succede sistematicamente a Pediatria, per esempio. Lo sanno tutti, nessuno lo dice. In quella strana e vecchia legge non scritta del non parlare per evitare di peccare di un po’ di sana trasparenza.

E poi c’è il pronto soccorso: quarto addio in un pugno di anni. Primari facenti funzione ad un certo punto sollevati dall’incarico e dimissioni protocollate in fretta e silenzio. Persino quando si chiudono le cose bene (un bando per selezionare il primario) si è costretti a far scorrere la graduatoria per rimpiazzare il prossimo pronto alla fuga. Sia chiaro: le dimissioni di Urso (LEGGI LA NOTIZIA) erano nell’aria già da un paio di settimane dentro i corridoi dell’Annunziata. E le motivazioni sono sempre le stesse: carichi enormi, numero di pazienti triplicato in estate. 70mila accessi in un anno e un territorio (leggi alla voce Asp di Cosenza) che non riesce a rispondere alle esigenze della popolazione trasferendo una larghissima parte delle più o meno gravi emergenze all’interno dell’Annunziata di Cosenza. Urso, forse, non ha retto.

E anche questa non è affatto una novità. Sono passati commissari ad acta (vi ricordate Cotticelli? Il piano di ristrutturazione dei pronto soccorso lo firmò lui), ben tre manager, continue rotazioni dirigenziali e siamo di nuovo al punto di partenza. Nessuno vuol venire perché tutti sanno che qui le gratificazioni sono poche, le botte tante. Le ore di lavoro tantissime e spesso anche con colleghi che tutta la città riconosce come inidonei a svolgere queste mansioni dentro un Pronto soccorso. Medici, sia chiaro.

Anche per questo alla città serve un nuovo ospedale. Solo che conoscendo gli ormai mitologici tempi della Calabria su Vibo, Sibari e Piana passerebbe la voglia anche al più resistente degli anacoreti.
Nel frattempo, i cittadini restano saldamente ancorati a metà tra la disperazione di chi vive quotidianamente la sanità e la rassegnazione di chi ha visto questo copione ripetersi troppe volte.
Così come ha sentito parlare, per conto di un presunto popolo, troppi “protagonisti” della politica locale, regionale e nazionale. Puntualmente pronti ad “occupare” gli spazi di comunicazione per ripetere le stesse cose di sempre: unirsi per arrivare ad una soluzione unica sul nuovo ospedale, situazione di emergenza insostenibile, qualche sospetto sui lavori svolti dentro l’ospedale. Viene da chiedersi dove erano quando scrivevamo, dov’erano quanto c’erano segnali palesi di crac.

Tutte osservazioni buone per il momento, per intasare ancora una volta per qualche giorno un dibattito che non è mai andato a parare da nessuna parte. È accaduto con i piani Covid, con le ambulanze in fila, con i medici del pronto soccorso che scappavano. Piccole manifestazioni, qualche timido atto ispettivo annunciato il giorno prima formalmente alla direzione, parole che valgono quanto i silenzi. I problemi, lo diciamo da tempo, sono estremi e strutturali. In pronto soccorso servono persone che non si trovano. All’Annunziata servono locali giusti, un luogo moderno, collegato. Che non risponda solo a potenziali lottizzazioni urbanistiche per un presunto futuro che, al momento, non esiste nemmeno come miraggio all’orizzonte se non nelle intenzioni della politica “fusionista”.

Di fronte all’ennesimo caos inchiostrato e ai ripetuti e garantiti difetti strutturali del vecchio elefante ospedaliero manca la voce della città, della provincia, di un territorio che quotidianamente subisce le angherie sistemiche di luoghi che non accolgono, di spazi che non ci sono, di salute che fugge sul primo treno. Sono i cittadini sballottati fino a Cosenza e lasciati in attesa per ore. Chi aspetta ambulanze che non arrivano. Chi cerca con disperazione un modo per star bene in questa “Calabria Straordinaria”.
E allora facciamo in modo che questo giornale diventi la voce di chi non ha un ruolo istituzionale, dei cittadini, dei volontari, di chi si spende ogni giorno per alleviare le sofferenze. Apriamo uno spazio di confronto sull’ospedale di Cosenza, arrivare ad una mobilitazione generale che rivendichi (e ottenga soprattutto) non uno spazio minimo di dignità ma tutto quello di cui abbiamo, tutti, bisogno. Ripeschiamo i vecchi slogan: vogliamo tutto. Per davvero.

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