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RENDE – «Indipendentemente da chi sia la vittima oppressa, bisogna stare dalla sua parte». L’eredità di Marek Edelman non sembra valere nella Polonia di Morawiecki. Lì i migranti non sono tutti uguali: ci sono quelli “brutti, sporchi e cattivi”, respinti dalle guardie militari alla frontiera con la Bielorussia, e quelli “bianchi e cristiani”, accolti – si fa per dire – all’interno dei campi profughi.

Questa ipocrisia di fondo emersa nel suo Paese con la guerra in Ucraina (ma il discorso potrebbe essere esteso all’intero Occidente) Paula Sawicka, nota attivista per i diritti umani, la conosce assai bene. La incontriamo nel giardino di casa di Marta Petrusewicz, assessore alla Cultura del Comune di Rende e sua amica di lunga data che ci fa da interprete: qui, tra un caffé e le betulle scaldate dai raggi ancora tiepidi del sole, accetta di concederci un’intervista.

È in città per una breve vacanza e in mattinata ha partecipato alla cerimonia di intitolazione del ponte di Campagnano a Giacomo Mancini. Dietro gli occhi azzurro ghiaccio, un mare di altruismo: con “Open Republic”, l’organizzazione umanitaria nata 24 anni fa con la vittoria di Solidarnosc e di cui in passato è stata presidente, si occupa di lotta contro discriminazioni, omofobia e xenofobia, terreno su cui germoglia la propaganda nazionalista polacca.

«Per la legge internazionale quando un rifugiato è in difficoltà bisogna aiutarlo, la Polonia invece lo respinge indietro. Il Governo è ostile con i rifugiati e noi monitoriamo le sue azioni. Inoltre i messaggi razzisti – spiega Sawicka – sono ormai sdoganati nel discorso pubblico e di conseguenza assistiamo al proliferare di formazioni ispirate a ideali xenofobi e ad un crescendo di episodi di violenza che, però, non vengono segnalati alle Procure. Il nostro ruolo è di sensibilizzare l’opinione pubblica e aiutare i cittadini a denunciare, a uscire dall’indifferenza».

Negli anni l’attività di “Open Republic”, sorta su impulso di un gruppo di intellettuali che si opponevano ai contenuti antisemiti dei manuali scolastici, è cresciuta esponenzialmente: attraverso dibattiti, conferenze, presentazioni, si è diffusa una maggiore consapevolezza nella popolazione ed è nata una vera e propria rete di associazioni con scopi simili.

“Il rifugiato buono e cattivo”, questo il titolo dell’ultimo incontro: «La Polonia ha riacquisito una certa “verginità” accogliendo i profughi ucraini – va avanti l’attivista -, ma al confine con la Bielorussia i rifugiati di altre nazionalità, afghani, siriani, africani, vengono respinti (pushed back, ndr) dai militari di frontiera. Vagano nei boschi e nelle paludi, dove in inverno ci sono 20 gradi sotto zero, in condizioni estreme, senza cibo, acqua, vestiti, assistenza medica né mezzi per comunicare. Chi porta loro viveri o medicine o li aiuta a fuggire è considerato “fuorilegge” ed è punito con la reclusione».

Non è un caso se il Governo polacco ha avviato il più imponente investimento della sua storia finalizzato alla militarizzazione dei giovani: una campagna basata sulla retorica dell’identità e del patriottismo il cui principale artefice è Jaroslaw Kaczynski, leader di Diritto e Giustizia (PiS). Petrusewicz e Sawicka si lanciano uno sguardo di intesa: «Fu lui ad affermare pubblicamente che la Polonia non avrebbe mai accolto queste persone perché portano malattie», dicono.

Ma allora perché questa disparità di trattamento con i profughi dell’Ucraina? «Edelman – riflette Sawicka – diceva che la coscienza collettiva dell’Europa porta con sé il peso dell’Olocausto. Un peso che non è mai stato elaborato che è come una specie di “peccato originale”. Se è possibile lasciar morire di freddo una madre con un bambino in una foresta, è perché è già successo durante l’Olocausto. Gli stessi campi di accoglienza per gli ucraini non sono altro che carceri. Io penso, invece, che il vero bisogno di chi scappa dalla guerra, dalla fame o dalla persecuzione sia ricevere sostegno, sotto ogni punto di vista: materiale, legale, ma anche psicologico».

Si è fatto tardi, il sole sta per tramontare. Ci lasciamo con una battuta sulla Calabria, di cui ama il carattere bucolico: «Mi piace molto la sua natura, le montagne, il mare. Ma fa davvero troppo caldo!».

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