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L'ingegnere Nilo Domanico (a destra) con il professor Emanuele Greco

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Archeologia: gli studi dell’ingegnere Nilo Domanico ridisegnano il paesaggio della Polis; l’acqua riscrive la storia di Sibari


LA cornice è un gruppo chiamato “Neopolis”. Che ogni anno organizza una Summer School, parola d’ordine. “L’altrove è qui”. Fra i membri, Edmondo Minisci, professore associato di ingegneria aerospaziale a Glasgow, Vincenzo Piro, professore di filosofia alla Sorbona, Maria Maiarù, direttrice del Centro Studi di Farmacia all’università di Reading, Francesco Caputo, docente di Business Management a Winchester, Benito Scazziota, uno straordinario agronomo. Tutti della piana di Sibari e tutti andati via. Però con la voglia di interfacciarsi, di lavorare e discutere con i Restanti. Non solo teoria ma molte e solide iniziative.

Eccoci quindi a Nilo Domanico, ingegnere con varie esperienze internazionali e alla sua ultima ossessione. Domanico è stato vicedirettore del progetto dell’Oman Botanic Garden dal 2017, il più esteso e tecnologico Giardino Botanico del mondo. Ultimo impegno in Italia: la direzione lavori della Space Smart Factory della Tales Alenia Spaces. Il penultimo, il Masterplan della bonifica idraulica del Parco Archeologico di Sibari.
E qui la febbre sale. Come per i Bronzi di Riace e gli ammalati di bronzite, il messaggio che Domanico manda è chiaro: mi sono innamorato di questa storia, per arrivare a una conclusione: l’antica Sybaris era immensa, il paesaggio antico ci sta fornendo importanti indizi sulla sua reale ubicazione.

Prima di tutto, cosa vuol dire “Neopolis”.

«Dare una visione, un futuro al nostro territorio: L’Altrove Qui. Riempire la nostra vita di Bellezza, che sia un museo, una biblioteca, un’opera d’arte, un concerto. Riempire dunque l’assenza con la pienezza della vita».

Una specie di restituzione alla Calabria.

«Vogliamo riportare qui le esperienze che abbiamo fatto in giro per il mondo. L’imperativo è quello dei progetti pratici, un nuovo patto per rigenerare i nostri luoghi. Il primo effetto, una start-up sull’agricoltura di precisione: meno spreco delle risorse idriche, uso dei droni e diminuzione dell’inquinamento, sistema anti-incendio, per uno sviluppo circolare e sostenibile».

Lei ha firmato il progetto della Villa Comunale a Corigliano, nel ricordo di Fabiana Luzzi.

«La famiglia di Fabiana e l’associazione Mondiversi di Tonino Gioiello mi hanno chiesto un progetto di riqualificazione e ampliamento del Parco a lei dedicato, che rispecchiasse la sua anima e la sua gioia di vivere. Gliel’ho donato, è stato presentato nelle scuole, insieme alla tragica storia di un femminicidio. Ma poi si è arenato nelle sabbie mobili della burocrazia. Prima o poi lo realizzeremo, l’ho promesso alla famiglia».

Veniamo all’ossessione. Il Parco archeologico di Sibari ha finalmente superato gli anni dell’incuria e dell’abbandono.

«Sono stato incaricato di redigere il Masterplan per la Bonifica Idraulica del Parco, ora manca solo l’appalto. Durante questo studio sono arrivato in maniera pressoché naturale alla ricostruzione del Paesaggio antico che si trovarono davanti i coloni greci nel 720 a.C. Una terra fertile e rigogliosa vicino alle miniere di sale di Lungro e quelle d’argento di Longobucco che divenne poi la più grande polis della Magna Grecia. Poi sulla base delle fonti antiche (da Diodoro a Erodoto, da Strabone ad Ateneo), sullo studio dei diari delle esplorazioni, delle ricerche storiche e archeologiche, le leggende, i miti, ho cercato di ubicare nei luoghi geografici odierni i posti descritti da tanti autori dell’Antichità e giunte sino a noi. Questa studio sarà pubblicato in un libro in uscita: “Alla ricerca di Sybaris e Thurii – Editore Arbor Sapientae)”».

Mi scusi, ma non è la sua professione!

«Sybaris è un mito, una leggenda o una realtà? Per rispondere, serve un approccio multidisciplinare, metodico e dettagliato. Ho formulato delle ipotesi sulla base delle mie conoscenze urbanistiche, idrogeologiche, topografiche. Chi costruiva le città nell’antichità? Ingegneri ed architetti. Io non ho fatto altro che studiare come si approvvigionavano di acqua potabile, da quali cave prendevano i materiali per le costruzioni, come costruivano gli acquedotti, dove seppellivano i morti. Mi sono soltanto immedesimato nei miei colleghi dell’epoca. Questo lavoro è stato avallato dal professor Emanuele Greco».

Scrive infatti nella prefazione del libro l’archeologo di valore internazionale, specializzato nella topografia della Magna Grecia: «Domanico ha un pregio sostanziale: scientificamente impeccabile, lo studioso arriva con un alto grado di approssimazione a delineare una credibile storia del paesaggio idrogeologico della piana tra Coscile e Crati. Con questa evidenza devono fare i conti gli archeologi ora disponiamo di un’eccellente piattaforma nella quale calare l’evidenza».

Torniamo all’intervista. Perché si deve cercare e scavare in altre direzioni?

«Allo stato attuale si ritiene che Sybaris e Thurii debbano trovarsi al di sotto delle città romana di Copiae, nel luogo denominato Parco del Cavallo, Casa Bianca, all’interno di quello che è chiamato il Parco archeologico di Sibari. Questo studio non esclude nessuna ipotesi, ma ritiene limitativo il fatto che la più grande polis della Magna Grecia, che diede poi vita alle colonie di Poseidonia (Paestum), Laos e Scidro possa essere confinata entro il perimetro circoscritto della città romana che è emersa dopo gli scavi iniziati da Zanotti Bianco. Davvero si può credere che una città grandiosa, che le fonti dicono sia stata abitata da oltre 300mila abitanti, con una cinta muraria di cinquanta stadi (circa 9 km) possa essere racchiusa in un perimetro così circoscritto come quello di Copiae? Agrigento si estendeva su 456 ettari, le sue mura erano lunghe 12 km, e si riteneva che anch’essa raggiungesse la popolazione di circa 300 mila abitanti».

Come andare avanti?

«La prima, essenziale, questione da dirimere, per intanto, è definire dove fossero ubicate Sybaris, Thurii e Copiae, non tanto in termini assoluti, di definizione delle loro coordinate geografiche, ma in termini relativi, ossia dove fossero posizionate l’una rispetto all’altra. Ci è stato sempre riferito che fossero state edificate l’una sopra l’altra, ma lo studio delle fonti potrebbe rivelare una verità diversa. Nel libro saranno citati Diodoro il Siculo, Erodoto, Strabone, Livio e altri. Ma già uno dei massimi conoscitori di Thurii, Emanuele Greco dimostra una sicura discontinuità fra Sibari e Thurii, e afferma che questa non si sovrappose completamente allo spazio urbano di Sibari. Sybaris, Thurii e Copiae non sono state edificate una sull’altra, non sono state sovrapposte o, quantomeno tale sovrapposizione è solo parziale e riguarda le parti marginali. Il cuore delle due polis potrebbe essere ubicato in un altro luogo».

Altri indizi?

«Nel 443 a.C. Pericle inviò gli ecisti Lampone e Xenocrito a fondare la nuova città poco distante dalla distrutta Sibari, i quali, ascoltato il vaticinio dell’Oracolo di Delfi, di stabilirsi poco distanti da una fonte chiamata Thouria, guidarono una flotta di 10 navi alla volta dell’Italia. Rispettare il volere degli Dei, e dunque dell’oracolo era condizione imprescindibile, per non incorrere nella loro maledizione. Nel libro viene dimostrato che nell’attuale Parco archeologico di Sibari, non è mai esistita una sorgente, per semplici ragioni di ordine idrogeologico. Dunque, molto probabilmente, non si trova lì il nucleo fondante della città di Thurii. Il nostro studio fa emergere inoltre la reale posizione del paleoalveo del Crati, ossia, il “letto prosciugato” descritto da Erodoto. Ed anche questo non è posizionato nell’attuale Parco archeologico di Sibari. Non è mai stata trovata la necropoli di Sybaris e nemmeno di Thurii. O meglio ci sono forti indizi che la necropoli di Thurii sia da tutt’altra parte.
Pensate per un attimo a Paestum, l’antica Poseidonia fondata dai Sibariti. Immaginate le maestose mura che circondano questa città antica. Ed allora dove sono i templi, le possenti mura, la sua necropoli? Bisogna dunque rivolgere lo sguardo altrove».

È sempre una questione di acqua.

«Abbiamo ricostruito il tracciato del Crati e del Coscile (allora Sybaris). Fra i due fiumi, fu costruita la città. All’epoca i due fiumi sfociavano sul mare con due corsi distinti. Il mare si trovava circa 3 km verso l’entroterra. Probabilmente Sibari fu sommersa dalle acque, ma non per la deviazione del Crati ad opera dei crotoniati, ma forse per un’epocale esondazione».

Cosa si può fare per questo Parco?

«Prima che un patrimonio diventi dell’umanità deve diventare della comunità. E il direttore Demma sta facendo molto».

La sua ossessione?

«Quella mi tiene sveglio anche la notte».

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