Il Cnr di Rende
2 minuti per la letturaCOSENZA – Sembrava l’anno della svolta e, invece, per molti di loro non sarà così. Già, perché dei 400 ricercatori precari che il Cnr si era impegnato a stabilizzare con i fondi del decreto Rilancio, soltanto 51 saranno assunti a livello nazionale. Il problema riguarda da vicino anche il Cnr di Rende dove, dopo anni di contratti a tempo determinato e promesse, sono in tanti a sperare in un Natale meno amaro.
A metà dicembre, infatti, le graduatorie dei precari scadranno e per chi resterà fuori non ci saranno altri giri di giostra. Marcello, 45 anni, di Reggio Calabria, precario al Cnr da 8 anni e già ricercatore all’Università, lavora all’Istituto per la tecnologia delle membrane: lì progetta strumenti utilizzati dalle industrie per la separazione di miscele gassose, ad esempio negli impianti a biogas o per ridurre le emissioni di Co2 nell’atmosfera.
Insomma, un patrimonio di competenze che rischia di andare perduto: «Abbiamo maturato anni di esperienza specifica in vari campi – spiega Marcello -, l’Ente ha investito su di noi e noi abbiamo “ricambiato” con ricerche e pubblicazioni che hanno dato prestigio all’Istituto. Una mancata assunzione, oltre a rappresentare un trattamento poco dignitoso nei nostri confronti, sarebbe una perdita in termini di capitale umano anche per l’ente perché molte ricerche rischiano di non poter essere continuate! Insomma, un bel regalo di Natale». Difficile ricollocarsi nel mercato del lavoro per chi, come lui, ha una figlia piccola: «Alcuni di noi hanno un’età in cui la scelta di trasferirsi all’estero con la famiglia diventa complicata», ammette.
Anche Antonio, di Lamezia Terme e che di anni ne ha 35, è tra i precari storici del Cnr. Precisamente da 9 anni, durante i quali, dottorato a parte, ha superato ben due concorsi, svolto importanti studi su dispositivi per telecomunicazioni “oltre il 5g” e nanotecnologie (è del suo team la riproduzione in 3d di un quadro di Leonardo Da Vinci più piccola al mondo, ndr), depositato una domanda di brevetto per apparecchi biomedicali, messo a punto sistemi di anti contraffazione altamente sofisticati che potrebbero trovare applicazione nel campo dei beni culturali, della logistica e dell’agroalimentare.
Sì, perché trattasi – nell’ultimo caso – di una tecnologia che, grazie ai fondi del Pnrr destinati alla protezione del Made in Italy, presto potrà entrare a far parte della nostra vita quotidiana. «È paradossale – afferma il ricercatore -, il Cnr ci forma per poi mandarci a casa e formare altre persone. Così facendo non potremo più continuare le nostre ricerche e saremo costretti ad andare all’estero. Senza ricerca un Paese non cresce. Nemmeno la Calabria».
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