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Salvatore Martilotti

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COSENZA – Quanto possono dare fastidio ai pesci o ai pescatori le pale eoliche che servono a produrre energia pulita? La questione si fa sempre più complessa e anche urgente da chiarire. Perché tra i 157 nuovi progetti eolici per la Calabria, molti riguardano la creazione di parchi offshore, ossia l’impianto di decine o centinaia di pale nelle acque antistanti le coste regionali. Un aspetto, questo, che rischia di condizionare il comparto della pesca, il quale già affronta numerose difficoltà e stenta da tempo a decollare come sarebbe invece nelle sue potenzialità, essendo la Calabria dotata di 750 chilometri di coste che rappresentano circa il 10% di tutti i litorali del Paese.

La necessità di conciliare la decarbonizzazione (con obiettivi a breve termine da raggiungere già entro il 2030) nell’ottica della transizione ecologica verso fonti di energia rinnovabili deve, dunque, conciliarsi non solo con l’esigenza di preservare il territorio, ma anche con la tutela dei paesaggi marini, la vita e l’ambiente dei pesci e, quindi, dei lavoratori del mondo della pesca.

Ad esempio, il progetto che prevede un parco eolico/solare offshore, da Capo Trionto fino a Marina di Mandatoriccio per una lunghezza di circa 17km, occuperebbe circa 56km quadrati di specchio d’acqua su un’area che si estende diagonalmente alla costa. A parlare delle potenziali difficoltà per il settore ittico è Salvatore Martilotti, presidente del Comitato pescatori Calabria.

La realizzazione di progetti eolici offshore in prossimità delle coste calabresi crede che sia una potenziale opportunità o piuttosto una complicazione?

«A mio modo di vedere c’è una questione di impatto visivo dal punto di vista ambientale. Mentre per quanto riguarda il settore ittico dobbiamo vedere cosa succederà, perché potrebbe esserci un restringimento delle aree di pesca abituali; e in questo caso la partita si farebbe abbastanza complessa. Se si parla di strutture presenti all’interno dei porti (come quella del porto di Corigliano) non ci sono problemi, ma se ci poniamo al di fuori delle strutture portuali ovviamente i parchi eolici andrebbero a incidere in tutta una zona che è area di pesca delle imbarcazioni che operano all’interno dell’alto Ionio della Calabria. Non vedo di buon segno alcuni tipi di progetti».

Questa considerazione è condizionata dall’esperienza delle attività estrattive dell’Eni? Quanto pesa il ricordo delle battagli sui tralicci petroliferi che impattavano anche la pesca?

«Questa attività estrattiva, che c’è stata nell’area antistante al mare di Crotone e continua ancora oggi, ci ha dato modo di fare alcune osservazioni. Abbiamo, dunque, già avuto modo di verificare che queste attività comportano, con il restringimento delle aree di pesca, la conseguente riduzione delle flotte. È quindi necessario mettere in discussione come si deve organizzare il futuro di questo settore, anche in previsione di ulteriori limitazioni dovute alla realizzazione di parchi eolici in zone di pesca».

Il settore della pesca sta affrontando un momento complesso, potrebbe farsi carico di ulteriori limitazioni delle aree di pesca dovute alla presenza delle pale eoliche?

«No, non sarebbe possibile. Basta pensare ad alcuni aspetti: in questo momento (nel 2023) – oltre alle gravissime difficoltà che il settore della pesca subisce normalmente – fattori come la pandemia, subito dopo la guerra in Ucraina e adesso quella in Medio Oriente, hanno contribuito ad aumentare in modo esponenziale i costi operativi di un’impresa di pesca. Se mentre prima questi costi erano intorno al 40-43% del prodotto lordo venduto, adesso si attestano intorno al 60%, quindi di fatto, si pongono come complicazioni insieme alle scelte che non condividiamo da parte dell’Unione Europea.

Ne dico una su tutte: la parte tirrenica della Calabria quest’anno oltre al fermo pesca continuativo, deve fare in modo che le imprese osservino altre ulteriori giornate di fermo obbligatorio che sono state 34, mentre sullo Ionio 66 che unite ai fine settimana e ai festivi che impongono anch’essi di non uscire in mare, significa che un’impresa di pesca durante un intero anno non fa più di 145 giornate lavorative. Così le imprese non riescono ad avere più alcun utile e a un certo punto si ritirano dall’attività di pesca. Questo è un brutto segnale perché significa che non abbiamo un futuro come settore della pesca in Calabria e questo deve farci seriamente preoccupare».

Presidente Martilotti, dunque quale crede che debba essere la direzione giusta da prendere?

«Anche da parte delle Istituzioni, da quelle europee così come quelle locali, si dovrebbero considerare con più attenzione le problematiche e gli aspetti negativi che impediscono a questo settore di decollare in Calabria ed è necessario definire l’organizzazione complessiva dello stesso. In questo senso, è ovvio che noi non siamo di per sé contrari alla produzione di energia col vento. Ma non è possibile che le pale eoliche finiscano per cacciare i pescatori dalle zone che ci vengono normalmente concesse. Finché potremo noi sosterremo l’opportunità di concedere le aree abituali di pesca alle nostre imprese ittiche».

Lei ha fatto riferimento alla questione del porto di Schiavonea (Corigliano-Rossano) e al progetto di capannoni presentato dalla multinazionale americana Baker Huges che comportano lo spostamento dei moli riservati ai pescherecci. Cosa può dirci in merito?

«Ricordo benissimo l’avvio dei lavori del porto di Sibari che avvenne proprio il 13 dicembre 1967, precisamente 56 anni fa, quando fu sottoscritta la lettera di sottomissione dell’impresa vincitrice della gara d’appalto. In tutti questi anni c’è stato solamente il vuoto e il silenzio per questo porto e adesso si presenta questa opportunità. Non è possibile sempre dire no a tutto perché c’è bisogno di analizzare attentamente se può essere un’opportunità per il territorio oppure no.

Io penso che le cose non vadano viste in maniera ideologica, ma affrontate in modo concreto e pragmatico. Se riteniamo che sia un’opportunità per il territorio penso che chi ha la responsabilità ai vari livelli – comprese le piccole associazioni come la nostra – abbia il dovere di sostenere queste scelte. Per quanto concerne l’ambiente, per quello che mi riguarda e basandomi sulla mia esperienza cinquantennale all’interno del settore della pesca, non credo che sia molto d’ostacolo o che metta in discussione l’attività di pesca».

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