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Vincenzo Amodeo

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COSENZA – Il dottore Vincenzo Amodeo ha costruito un’eccellenza nella Piana di Gioia Tauro. Un reparto di Cardiologia tra i migliori, in una regione che fatica e soccombe tra medici che sgomitano per fare quello che devono e vogliono. Amodeo, come facente funzioni, era stato incaricato di avviare e risollevare la Cardiologia anche all’ospedale di Locri. Un altro presidio di frontiera con parecchie nubi nere sulla testa. Ieri ha inviato una lettera alla direttrice generale dell’Asp di Reggio Calabria, Lucia Di Furia, minacciando le dimissioni. Solo minacciate, sia chiaro. Amodeo non ha intenzione di tirarsi indietro ma è necessaria una sferzata. Il dottore ha gettato una intera montagna nello stagno della sanità calabrese.

E con una precisazione importante: «Rimango saldamente alla guida della Cardiologia di Polistena, qui ho creato un ambiente tutto nuovo. La mattina prima del buongiorno ai miei colleghi dico “ricordatevi che non siamo interessati al secondo posto. Dobbiamo essere sempre i primi”».

Dottore, lei ha inviato questa lettera di dimissioni, ha parlato di carenze e problemi: cosa sta succedendo?

«Se non vengono rimosse certe nicchie di potere non riusciremo a venirne a capo. Semplice. Il vessillo del decisore pubblico deve essere la meritocrazia, altrimenti non risolveremo nulla. Purtroppo i nostri giovani medici sono in fuga dalla Calabria perché vanno a lavorare in reparti dove non esiste una gerarchia genuina, basata sulle competenze. Sono giovani che vogliono imparare, le loro aspettative non sono solo quelle del giorno di “san paganino” il 27, vogliono andare oltre, vogliono acquisire esperienze e vogliono lavorare in ambienti idonei, salubri. Purtroppo non si può più temporeggiare su queste cose.

Io faccio sempre un esempio molto eloquente: c’è stata questa battaglia vergognosa nei confronti dei cubani, ho due cardiologi cubani che sono il fiore all’occhiello del mio reparto, è gente che sa fare tutto. E ho dovuto mandare a Locri un cubano per fare i controlli di pacemaker. Tutto questo quando là ci sono cardiologi da 30 anni, in un reparto dove sempre è stata fatta la stimolazione e i pacemaker dovrebbero conoscerli, eppure non hanno mai imparato neanche a fare i controlli. Io mi vergognerei a sapere che nel mio reparto arriva un dottore cubano per fare i controlli ai pacemaker. Poi ci sono alcuni che si definiscono rappresentanti del popolo, dei diritti del malato, che si accorgono solo ora di queste difficoltà.

La colpa di chi è? Chi li deve fare i controlli? Chi li deve fare gli impianti? I medici di Locri. O sbaglio? Vi siete mai chiesti perché non l’hanno fatto finora? C’era un dottore che li stava facendo e ad un certo punto ha chiesto di andare in pensione. L’ho recuperato in zona Cesarini, l’ho pregato di venire da me e ora fa quattro pacemaker al giorno. Però non è solo, da solo non riesci a farle tutte queste cose altrimenti alla fine ti avvilisci. Questo è quello che ho cercato di far capire».

Per questo le sue dimissioni dal ruolo assegnato a Locri?

«Ho minacciato di dimettermi, ho mandato una lettera ben precisa. La missione che avrei dovuto compiere era quella di formare i medici che per tanti anni non hanno voluto fare formazione. E ho invitato i dottori a venire da me per imparare le procedure, perché da solo non posso farle, in una sala operatoria che non è neanche a norma di legge. Se devo fare questo non entro in uno sgabuzzino, entro in una sala operatoria degna di questo nome, perché poi le complicanze non è che sono poche e quando arrivano sono anche molto minacciose. Dico “vieni da me, fai la formazione, ritaglia 4 ore di tempo”, non si è mai presentato nessuno. E allora che ci faccio a Locri, per fare che? Per fare la visita?»

Che cosa propone per risolvere subito il problema?

«Bisogna redarguire le persone, far capire che lo stipendio deve essere guadagnato mettendoci tutte le energie di questo mondo e non facendo i dirigenti del traffico del malato. Non basta che arrivi un paziente, si fa diagnosi e poi si suggerisce di andare a Polistena. Non è così che si fa. Io mi sono dato da fare per cercare un primario per Locri, l’ho convinto, ma il concorso non è stato bandito. Nel frattempo è stato scoraggiato perché pare, detto da lui e non ho approfondito perché non faccio l’investigatore, che sia stato contattato e gli abbiano detto “non pensare di venire qui a Locri a comandare. Devi fare i turni come noi”. Come dire “se non vieni è meglio”. È una cosa che va sistemata. Di Furia mi ha detto “fai un miracolo”, io i miracoli non li faccio perché non sono un santo, però se devo mettere mano voglio carta bianca. Se c’è spazzatura da rimuovere la rimuovo».

Dunque c’è margine per andare avanti?

«Non ce l’ho contro l’ospedale e l’utenza, ho fatto di tutto e di più per servire Locri. La stavo servendo mandando un medico a settimana però non ho avuto risposta da parte di quei sanitari che ho invitato caldamente, amichevolmente e professionalmente a darsi una mossa e fare in maniera tale che ciò che ho realizzato a Polistena si possa essere realizzata in pochi mesi anche a Locri. E poi c’è un altro aspetto molto deprimente. Abbiamo fatto un concorso con cinque vincitori. Tre sono specializzandi e attendono l’autorizzazione dalle università dove si stanno specializzando.

La più resistente è l’università di Catanzaro, perché le altre, compresa la Sicilia, a vittoria di concorso concedono subito il nulla osta, Catanzaro invece dice no, dobbiamo prima mettere in rete gli ospedali, una cosa molto maniacale. Eppure i primi due che intendono prendere servizio da subito sono pronti. Vanno e chiedono di essere assunti però mettono delle condizioni. “Noi a Locri, per come si trova, non ci andiamo perché è un tuffo nel buio”. Uno ha le capacità per fare l’emodinamista, e io ho il progetto di creare l’emodinamica a Polistena.

L’altro vuole fare cardiostimolazione. E tu gli imponi che debbano andare a Locri? No, grazie. Quando parliamo di ospedali attrattivi, parliamo anche di questo. Il giovane che lo trova ci torna. Stavo recuperando un collega che era a Locri. È scappato, un motivo ci sarà. Abbiamo fatto un atto per recuperarlo dal Nord dove era andato. Ha pensato “sì bene, ma siamo comunque all’Asp e in un attimo mi fanno un ordine di servizio e mi mandano a Locri. L’ho fatta una volta, la seconda no perché va a finire che sprofondo dell’inferno».

Cosa le ha detto la direttrice generale?

«Mi ha pregato di ripensarci e io ci ripenserò, non sono uno che si arrende così. Farò dieci passi indietro ma devo avere la possibilità di agire da solo. Non voglio interferenze. Perché conosco il sistema, sono calabrese e conosco storia, geografia e territori. Non dimentichiamo che a Locri sono stati uccisi tre medici e le aggressioni sono continue. Un motivo ci sarà se dal 2018 a oggi a Polistena non ho mai subito una aggressione. Perché agiamo con garbo ma soprattutto diamo risposte all’emergenza. Quando arriva un paziente acuto, pronto per l’aldilà è bello sentirsi dire “grazie a voi è riuscito a tornare alla vita”. Quando non diamo risposte il paziente muore e arrivano le aggressioni».

Lei non ha paura a denunciare questa situazione?

«Mai avuto paura. Ho solo paura di non poter fare fino in fondo il mio dovere utilizzando al massimo le esperienze che ho maturato. Ho paura a non avere una strumentazione per curare bene un paziente in una fase acuta. Pensiamo all’emodinamica. Io trasferisco due pazienti al giorno nelle strutture facendo i salti mortali. Non è giusto che un paziente arrivi al presidio ospedaliero di Polistena e bisogna cercare l’ambulanza medicalizzata.

Quando non c’è per fortuna c’è l’eliporto e pregare i colleghi delle emodinamiche per rivascolarizzarlo subito. Il mio mestiere non è questo, io non faccio il direttore del traffico degli ammalati. Io li voglio curare lì, c’è la possibilità? Facciamolo. Professionalmente mi sento un meschino se non sono in condizione di farlo. Devo dire che questa direzione strategica è a dir poco illuminata ma probabilmente non ha avuto ancora contezza di quella che è la realtà. Dico: “fatemi agire”».

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