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L'attesa davanti al blocco operatorio dell'ospedale di Paola

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PAOLA (COSENZA) – Mille regole e nessun controllo: è la vecchia storia che si ripete, mentre l’unica arma resta il buonsenso delle persone. Siamo a Paola, nella cittadina di San Francesco, dove è presente l’ospedale “Spoke Cetraro-Paola” gestito dall’Azienda provinciale di Cosenza.

Diversi cittadini hanno segnalato alcune frequenti irregolarità: dall’ingresso indiscriminato e non contingentato nella struttura sanitaria, allo stazionamento di parenti fuori dalle sale operatorie, nonostante le misure anti contagio in vigore per il contenimento della pandemia. Non resta che munirsi di mascherina e andare a verificare.

Arriviamo davanti l’ingresso del Pronto soccorso alle 10.30 ed entriamo indisturbati; percorriamo il corridoio giungendo agli ascensori dove un operatore sanitario ci indica quello riservato al pubblico – ovviamente non pone alcuna domanda inerente al green pass o tampone – e saliamo al quinto piano.

Qui si trova il gruppo operatorio, ci sono delle poltrone dove potersi sedere e attendere. Prendiamo le scale e proseguiamo il nostro giro. Entriamo tranquillamente nella sala d’attesa di oncologia e nell’ambulatorio di ortopedia (qui era in corso una medicazione su un paziente, visibile ai passanti).

Un percorso non breve all’interno del nosocomio paolano che si snoda incrociando diversi cittadini presenti, forse in attesa di esami o visite o, magari, di entrare da un familiare in uno dei reparti. Ritorniamo al primo piano dove c’è lo sportello per le prenotazioni, il bar e una grande sala d’ingresso. Anche qui nessun controllo. Nessuno misura la temperatura o si informa sul motivo della nostra presenza; nessuna richiesta di green pass o tampone anti covid.

Il controllo è lasciato alla prudenza di qualche operatore sanitario al quale chiediamo come far visita ad un parente. Veniamo informati che, ad esempio, nel reparto di cardiologia solo da qualche giorno sono sospese le visite proprio a causa dell’aumento del numero di contagi, ma che possiamo comunque rimanere sul pianerottolo e attendere il medico per eventuali informazioni sullo stato di salute del nostro congiunto ricoverato.

Le segnalazioni parlano anche di degenti negativi al virus e diventati positivi dopo l’ingresso di parenti nel reparto e interventi chirurgici effettuati senza predisporre un tampone. Queste, però, sono condizioni che non possiamo accertare. Sicuramente sono affissi cartelli che invitano all’utilizzo della mascherina, al distanziamento e ad igienizzarsi le mani (a trovarlo, il gel). Tuttavia, come se nulla fosse, all’ingresso si continua a passare senza essere minimamente controllati.

Forse sarebbe opportuno implementare il servizio di portierato, fornendo innanzitutto il gel per le mani; i termoscanner per il controllo della temperatura corporea e l’applicazione smartphone per la verifica del green pass.

Non contenti chiamiamo il centralino e, dopo interminabili attese, riusciamo a parlare con un’operatrice davvero poco garbata alla quale chiediamo di conoscere le regole da seguire per l’accesso in ospedale, al cup o per esami. La risposta: «potete venire tranquillamente». Non contenti chiamiamo in un reparto e un infermiere ci spiega che si può entrare solo con green pass e tampone negativo. Alla domanda se questa regola vale generalmente per l’ingresso in ospedale, ci risponde che: «nel reparto dove presta servizio vigono le disposizioni indicate, nel resto dell’ospedale non sa».

L’impressione diretta che abbiamo avuto è una mancanza di attenzione alle regole che rischia di trasformare un presidio ospedaliero in un porto aperto al virus. Condizione che nessuna delle strutture sanitarie può permettersi, soprattutto in Calabria perché già gravate da anni di pessima amministrazione e carenze croniche che hanno portato sotto ogni soglia accettabile i livelli essenziali di assistenza.

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