Le file davanti all'ospedale di Cosenza nella fase più intensa del Covid
2 minuti per la letturaCOSENZA – Da eroi ad untori in ventiquattro ore. Il caso dei contagi all’interno del 118 di Cosenza ha tirato fuori un lato ormai non più nascosto nell’agguerrita utenza del web.
Una marea di messaggi ostili, riverberati su diverse piattaforme, nei confronti degli operatori risultanti positivi e in un momento assai delicato. Le accuse sono sempre le stesse: quelle di aver indirettamente contagiato le persone soccorse non utilizzando i dispositivi di protezione individuale durante gli interventi. Cose che in realtà non sono mai successe.
Tutti gli operatori coinvolti, sette in totale (due alla Pet di Cosenza e i restanti nella centrale operativa del 118 di Cosenza), sono stati sospesi dal servizio in attesa di guarigione. Insomma, la situazione gestita dall’Usca di Cosenza è davvero sotto controllo e tutte le persone sono sottoposte ad isolamento. Quello che ruota attorno a questa situazione invece è paradossale sotto tutti i punti di vista. Anche e soprattutto in un momento dove la media giornaliera dei casi è assai bassa e il distanziamento (vedi comizi elettorali) è diventato un orpello del passato.
Gli operatori del 118 indossano i dispositivi di protezione individuale durante i soccorsi, per non parlare di chi è adibito al trasporto di pazienti Covid. Sono gli stessi che bardati di tutto punto erano in fila davanti l’ospedale Annunziata di Cosenza strapieno nelle settimane più buie di questa pandemia. È un fatto ormai assodato. È anche importante ricordare quanto accaduto allo scoppio dell’epidemia lo scorso anno, quando il Quotidiano ha registrato la protesta di alcuni operatori scoppiata proprio per la mancanza di dispositivi di protezione individuali idonei ad affrontare la pandemia in corso.
Tutto questo con una grandissima incognita, la veridicità delle informazioni raccolte al momento del soccorso. Capita ancora oggi che alcuni pazienti non dichiarino di avere una semplicissima febbre, una delle spie di un possibile caso di contagio. La “guerra” dei social però potrebbe innescare un pessimo effetto a catena, creare un clima di sfiducia nei confronti di un servizio fondamentale. La faccenda contagi, invece, resta circoscritta e di difficile spiegazione. L’origine potrebbe essere all’infuori dello stesso ambito sanitario.
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