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L'ospedale di Cosenza

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COSENZA – L’ospedalizzazione di certo non è la soluzione al problema del Covid 19. L’arma principale per difenderci dal coronavirus è l’isolamento sociale attraverso la quarantena volontaria di chi ancora non è contagiato o attraverso quella imposta, molto più dura, di chi purtroppo ha beccato il virus.
L’ospedale interviene laddove si contrae la malattia e in Calabria in questi giorni è tutto un discutere su dove trovare i macchinari e soprattutto i medici per trattare i casi. Difatti due giorni fa la Regione ha emanato un avviso per acquisire la disponibilità di medici, biologi e altre figure professionali in quiescenza e disponibili a tornare al lavoro.

In tutto questo si registra una situazione paradossale all’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza. Qui il reparto di Malattie infettive è stato ampliato, grazie al trasferimento di ematologia. Trovati i posti letto, serve ora trovare il personale in più che vi lavori. Così la direzione aziendale ha inviato degli ordini di servizio ad alcuni medici di pneumologia in cui si ordina il trasferimento immediato al reparto di Malattie Infettive.

Fin qui nulla di strano. Una operazione del tutto normale in qualsiasi azienda ospedaliera. Non così nell’ospedale civile dell’Annunziata dove da anni si registra il fenomeno dei medici cosiddetti “imboscati” cioè assunti per il lavoro in corsia e che invece spesso si sono fatti assegnare ad altri e ben più tranquilli compiti.

Così i medici chiamati in servizio per Malattie Infettive hanno deciso di mettersi a loro volta in malattia e stare a casa. Non lo hanno fatto certo per paura del lavoro o del contagio, bensì come forma di protesta. Va ricordato infatti che nell’azienda ci sono ben quattro infettivologi che sono stati destinati ad altre funzioni. Uno di loro addirittura svolge il suo lavoro presso la direzione sanitaria, altri in altri reparti che non sono certamente quelli per cui furono assunti illo temporecome ortopedia.

Nemmeno in questi che possiamo definire tempi di guerra i nostri sono stati spostati dalle loro mansioni. Da qui la protesta silenziosa dei loro colleghi. Il loro ragionamento non fa una grinza. Nel momento in cui tutti i camici bianchi sono chiamati ad uno sforzo immane per fronteggiare il virus, com’è possibile che alcuni continuano a conservare antichi privilegi? Cosa fa la direzione dell’azienda per limitare questo fenomeno? Com’è possibile pensare di smontare altri reparti quando ci sono persone assunte allo scopo che non vengono toccate?

Certo quattro medici in più o in meno non risolverebbero radicalmente il problema. Ma quello che conta è il segnale, al punto che un medico ospedaliero ieri diceva fra i denti che nemmeno questo finimondo del virus è riuscito a scalfire vecchie incrostazioni. Nè vale come giustificazione vecchie gelosie professionali fra i colleghi, che qualcuno pure ha accampato, ma che vista la situazione non hanno alcun motivo di esistere.

La direzione aziendale quindi non può stare ferma rispetto a questa situazione che può anche essere vista come una piccola storia ma che è sintomatica di come sono andate le cose nella nostra sanità.

Adesso però è il momento della responsabilità. Da parte di tutti.

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