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COSENZA – Il giorno dopo la confessione dell’omicidio di Rocco Gioffrè, pensionato di 76 anni, da parte della vicina di pianerottolo Tiziana Mirabelli, in via Monte Grappa cala il silenzio. Nessuno dei residenti intende parlare: “Noi non sappiamo niente”, dietro questa affermazione si trincera chi vive nel quartiere, in quella stessa via dove i carabinieri hanno apposto i sigilli all’appartamento della donna, teatro del fatto di sangue.
Un quartiere popolare dove, tra sale slot e i clochard che trovano riparo sulle scalinate dell’ex Cinema Italia, è facile che talune situazioni di degrado e marginalità possano degenerare in epiloghi del genere.
Intanto per quel che attiene il filone investigativo nelle ultime ore emergono nuovi elementi importanti. Dettagli che fanno traballare la versione finora sostenuta dall’omicida, la quale ha confessato – a distanza di giorni dalla presunta data di commissione del delitto – di aver colpito l’uomo con un coltello per difendersi da un’aggressione seguita al rifiuto di una prestazione sessuale. A mettere in discussione il narrato della donna sono le dichiarazioni dei tre figli di Gioffè, interrogati la sera della macabra scoperta.
Al pm Maria Luigia D’Andrea hanno riferito che, dalla morte della madre, sopraggiunta nei mesi precedenti, i due avrebbero intrattenuto una relazione sentimentale di cui erano perfettamente a conoscenza. La frequentazione tra Mirabelli e Gioffrè, i cui appartamenti erano divisi soltanto da un muro era, a dir loro, assidua e costante e l’anziano, considerata la situazione di indigenza in cui versava la compagna, l’avrebbe spesso aiutata anche economicamente contribuendo alle spese per bollette e cure odontoiatriche.
I familiari – secondo quanto riferito dal legale Francesco Gelsomino – lo avrebbero visto per l’ultima volta lunedì sera. Martedì mattina dalla sua utenza telefonica sarebbero partiti tre sms (circostanza di per sé insolita in quanto l’uomo non era solito inviarli, ndr), con i quali li avvisava che si sarebbe allontanato per un po’, ma al tempo stesso li tranquillizzava invitandoli a non chiamare i carabinieri perché “si sarebbe fatto vivo lui”. Da quel momento in poi il cellulare verrà spento e di lui si perderanno le tracce.
Ma non è tutto perché i congiunti riportano circostanze ancora più inquietanti: in particolare allorquando, giovedì mattina, una figlia della vittima si sarebbe recata a casa della Mirabelli per recuperare un paio di scarpe, a delitto già compiuto e con il cadavere del padre occultato in una camera da letto, e lei l’avrebbe ricevuta, tranquillizzandola ed esortando sia lei che gli altri figli a desistere dal proposito di denunciare la scomparsa alle forze dell’ordine. Da chiarire resta anche un altro giallo: dalla cassaforte che il padre custodiva dietro un quadro è sparita, come abbiamo riportato ieri, una cospicua somma di denaro. All’appello mancano anche le chiavi di casa, le chiavi della cassaforte, il telefonino e il portafogli con gli effetti personali appartenuti alla vittima. Quello compiuto da Mirabelli è stato un delitto passionale o una legittima difesa? L’indagata lo chiarirà questa mattina al gip del Tribunale di Cosenza, Alfredo Cosenza. Mentre l’esito dell’autopsia sul cadavere di Gioffrè, prevista per domani, potrebbe riservare risvolti imprevedibili.
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