La zona del centro storico dove è avvenuto l'agguato
4 minuti per la letturaCOSENZA – «Appena l’ho visto sono fuggito. Poi ho solo sentito gli spari. E il dolore». È una parte del drammatico racconto di Egidio Imbrogno, il 32enne scampato per miracolo alla morte che lo attendeva, armata di pistola, la notte del primo settembre in piazza Arenella (LEGGI LA NOTIZIA).
L’identità di quel pistolero, secondo la Procura e la Squadra Mobile, corrisponde a quella Davis Turboli, 23 anni, che fermato nell’immediatezza e tradotto in carcere, lascerà presto la cella per andare agli arresti domiciliari, trasferimento che si concretizzerà non appena si avrà la disponibilità di un braccialetto elettronico.
A prendere questa decisione è stato nelle scorse ore il gip del tribunale cosentino, confermando per ora il quadro di gravità indiziaria a carico di Turboli con riferimento all’accusa di tentato omicidio; un po’ meno rispetto a quella di estorsione.
All’origine dell’agguato, infatti, ci sarebbe un debito contratto dalla vittima con persone affini all’indagato. È stato proprio Imbrogno a mettere nero su bianco la sua verità una volta ripresosi dalle ferite. L’unico proiettile che lo ha centrato sui quattro esplosi, infatti, gli ha spezzato una costola e sfiorato un polmone. È vivo per miracolo.
A suo dire la vicenda ha inizio a luglio di un anno fa, quando chiede un prestito a un amico – 500 euro – per mettere in tasca un po’ di denaro in vista delle vacanze estive. Il suo amico si limita a fare da intermediario e lo mette in contatto con altre persone con le quali stipula un accordo: di euro ne avrà mille, a patto che li restituisca in tranche da cento euro mensili fino all’estinzione del capitale.
Detto fatto, solo che nei mesi successivi Imbrogno chiede ancora soldi: prima mille euro, poi altrettante. La rata aumenta a trecento euro, e per ottemperare ai pagamenti consegna la sua carta del reddito di cittadinanza ai creditori che, di volta in volta, scaricano il denaro simulando l’acquisto di merci in un negozio compiacente. A detta del trentaduenne, però, invece di trecento euro ne prelevano cinquecento per quattro mesi di fila, arrivando così a estinguere il debito complessivo.
A quel punto, Imbrogno di rifiuta di continuare a pagare, ma le pretese della controparte non si fermano: adesso vogliono vincolarlo per i successivi trenta mesi. E la rata che vorrebbero imporgli ammonta a quattrocentosettanta euro. L’uomo risponde picche alle richieste e, intorno al 20 agosto, davanti a lui si materializza una prima volta Turboli, il presunto esattore.
Il giovane lo aggredisce in piazza Valdesi e ingaggia con lui una colluttazione risolta dall’intervento di poliziotti e carabinieri in borghese.
Non finisce lì, perché la notte del primo settembre, Imbrogno ha trascorso una serata al McDonald’s di Zumpano ed è rimasto poi in compagnia di due sue amiche fino alle due di notte. Un’ora più tardi si fa lasciare da loro nel centro storico ed è diretto alla sua auto parcheggiata nelle vicinanze dell’Arenella, quando sostiene di essersi imbattuto nella sua nemesi. «Avanzava verso di me con una mano in tasca, a quel punto ho capito che era armato».
Segue la fuga descritta in partenza, il tentativo di nascondersi tra i veicoli in corsa, l’ulteriore corsa verso le scale che lo avrebbero portato in salvo verso piazza Duomo interrotta però da quattro colpi di pistola 7,65. Il resto è cronaca: con le poche forze che gli restano il ferito riesce a telefonare ai carabinieri e sul posto arrivano anche i soccorritori che lo portano in ospedale dove, di lì a poco. i medici riusciranno a salvargli la vita. Tutto ciò, per il gip è sufficiente a spedire Turboli ai domiciliari, ma non in carcere come avrebbe invece desiderato la Procura.
A influire su tale decisione è stato il comportamento del giovane che, già poche ore dopo i fatti, si è presentato in questura accompagnato dal suo avvocato Antonio Spataro. In seguito si avvarrà della facoltà di non rispondere, ma che si sia consegnato lui stesso agli agenti della Squadra Mobile dai quali era ricercato, ha portato a ritenere non sussistente il pericolo di fuga paventato invece dal pubblico ministero.
Degli indizi raccolti contro di lui, inoltre, è stata riconosciuta la gravità con riferimento all’ipotesi di tentato omicidio – per colpire Imbrogno ha mirato al suo busto – ma non a quella di estorsione dato che al riguardo c’è solo la sua parola e non anche gli scambi di messaggi che sostiene di aver avuto con i presunti estortori, ma dei quali non è stato in grado di mostrare il contenuto agli investigatori. Morale della favola: fermo non convalidato e ordinanza emessa con una misura cautelare più mite rispetto alle previsioni.
Nel frattempo, le indagini del caso proseguono sotto il coordinamento del capo della Mobile, Angelo Paduano, e del procuratore Mario Spagnuolo.
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