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COSENZA – Un filo rosso di violenza si dipana per le strade della città, dal lungomare alle contrade passando per il centro storico. Cosa succede a Rossano, importante centro della Sibaritide diventato ancora più importante dopo la fusione con la vicina Corigliano?
Se lo chiedono gli investigatori di almeno due Procure (Catanzaro e Castrovillari) impegnati a decifrare fermenti e inquietudini che in queste ore sembrano agitare non poco gli animi all’interno del crimine locale.
Tutto ha avuto inizio cinque giorni fa con l’aggressione subita il 13 luglio da Gennarino Acri, 39 anni, fratello dell’ormai ex boss Nicola Acri, al secolo “Occhi di ghiaccio”, oggi collaboratore di giustizia (LEGGI). Quel giorno la sua auto viene bloccata alla Marina da un altro veicolo che gli taglia la strada, l’uomo è costretto a scendere dall’abitacolo e un gruppo di persone non ancora identificate lo malmena di brutto a colpi di bastone, spedendolo in ospedale.
Nei giorni successivi analoghi episodi di violenza, apparentemente fini a se stessi, si registreranno a Rossano: ulteriori pestaggi ai danni di pregiudicati, incendi di automezzi, l’uccisione di un cane – il pastore tedesco di un uomo d’ambiente – e, dulcis in fundo, gli spari contro l’abitazione di un altro soggetto noto alle cronache.
Tutto nel giro di poche ore, il che ci riporta alla domanda di partenza: cosa succede a Rossano?
Una delle piste battute dagli investigatori porta in modo naturale a Nicola Acri e al suo pentimento. Da più di vent’anni, metà dei quali trascorsi al 41 bis, l’uomo era a capo della ‘ndrina rossanese federata con il clan dei nomadi di Cassano allo Ionio. La sua defezione ha generato un vuoto di potere fisiologico e una prima chiave di lettura investigativa inquadra le turbolenze odierne proprio nel contesto della burocrazia mafiosa: una sorta di disbrigo delle pratiche di successione al vecchio boss. Una gestione questa tutto sommato “ordinaria” alla luce degli eventi luttuosi che hanno segnato la costa jonica cosentina nell’ultimo triennio, una scia di omicidi – da quello di Pietro Longobucco al duplice Greco-Romano, passando per il delitto Elia e, soprattutto di Leonardo Portoraro – che secondo i magistrati è da mettere in relazione con la profonda mutazione degli assetti della ‘ndrangheta sibarita. Non a caso, le recenti inchieste giudiziarie adombrano il sospetto che i gruppi criminali del luogo un tempo contrapposti – gli zingari da una parte e i Forestano, i cosiddetti “italiani”, dall’altra – siano ormai una cosa sola, come dimostrerebbero alcune estorsioni eseguite congiuntamente dalle due batterie.
Insomma, è anche in nome di questo nuovo ordine che potrebbero essere stato sparso tutto quel sangue, vicende rispetto alle quali la non letale escalation rossanese assume più le dimensioni della normale amministrazione.
Difficile, se non addirittura impossibile, pensare che l’erede di “Occhi di ghiaccio” non sia stato ancora designato. E che lo stesso non abbia avuto un ruolo nelle spedizioni punitive ancora in cerca d’autore. Se così fosse si sarebbe trattato di atti di violenza unilaterale, provenienti da una sola direzione e non di un botta e risposta tra fazioni contrapposte. Insomma, un modo per far comprendere chi è che comanda ora in città.
Si tratta solo di un’ipotesi investigativa alla quale se ne affiancano altre, ma qualunque sia la soluzione il crimine organizzato resta sempre sullo sfondo. Una pista, infatti, porta a quanto avvenuto pochi giorni prima del raid contro Gennarino Acri, in particolare a tensioni – con annesso probabile litigio – registrate in occasione dei festeggiamenti per la vittoria dell’Italia ai campionati europei. Potrebbe essere stata quella la scintilla che ha generato l’incendio, creando i presupposti per la successiva Pulp fiction bizantina.
È chiaro che a Rossano più d’uno ha perso ormai i propri privilegi. Il messaggio sottinteso a schiaffi e pistolettate potrebbe essere quindi: “Stanne fuori. O ti faccio fuori”.
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