Il procuratore di Paola Pierpaolo Bruni
3 minuti per la letturaPAOLA (COSENZA) – E’ un magistrato sotto scorta e ancora sotto attacco, il procuratore capo Pierpaolo Bruni, insediatosi il 16 giugno del 2017, dopo sette anni trascorsi alla Distrettuale antimafia di Catanzaro. Anche qui a Paola, come documentato dagli atti, Bruni è finito nel mirino di ‘ndranghetisti, colletti bianchi (fino a poco tempo addietro intoccabili) e potentati della malapolitica che tramano nell’ombra, specializzati nella delegittimazione.
E’ un magistrato sotto scorta, Bruni, perché anni fa un “pentito” svelò il piano della ‘ndrangheta di eliminarlo: «Il dott. Bruni è a rischio di vita assoluta», raccontò il collaboratore di giustizia, ex affiliato ad una cosca di Cutro. «Abbiamo a disposizione molte armi, sia bazooka che esplosivo», puntualizzò l’ex “uomo d’onore”.
E solo poche settimane addietro, anche sulla costa tirrenica, l’ex armiere della cosca Muto, finito ancora una volta in manette e nuovamente condannato per le inchieste di Pierpaolo Bruni, è stato intercettato in carcere mentre formulava gravi minacce all’indirizzo del Procuratore capo, ipotizzando, durante il colloquio con una congiunta, azioni subdole di delegittimazione da pianificare ai danni dello stesso magistrato.
Giunto a Paola, in qualità di Procuratore capo, l’ex sostituto della Dda ha continuato a dare fastidio, riuscendo a mettere le mani su soggetti in odor di ‘ndrangheta e “colletti bianchi”, sulla sanità affaristico-mafiosa e sulla massoneria segreta, toccando “santuari” fino a poco tempo fa considerati inespugnabili.
Con l’arrivo di Bruni, il reato di “turbata libertà degli incanti” è diventato noto ai più. Ed in molti Comuni sono stati documentati, in tal senso, episodi gravi: politici e impiegati che, con violenza o minaccia, con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, anche (in un caso) ottenendo prestazioni sessuali, impedivano o turbavano gare pubbliche. Tanti, inoltre, gli episodi di corruzione, falso, concussione.
La Pubblica amministrazione era una sorta di isola felice e la politica locale ne ha approfittato (ma ancora ne approfitta): concorsi pilotati, incarichi agli amici e a ditte amiche. Diverse decine di inchieste penali, moltissime definite con patteggiamenti e condanne, molte altre in fase dibattimentale. Inchieste che, negli anni, hanno riguardato i Comuni di Paola, Fuscaldo e Amantea, quelli di Guardia Piemontese e Aieta. E poi, ancora, Belvedere Marittimo e Scalea, Belmonte Calabro e Longobardi, Praia a Mare e Tortora, Acquappesa, Longobucco e Acri.
I blitz hanno interessato anche altre regioni. Sono finiti indagati consiglieri regionali, sindaci, assessori, segretari comunali; arresti, interdittive, obblighi di presentazione alla Polizia giudiziaria. Anche in tema di esigenze cautelari i blitz, condivisi e ordinati dai Giudici, hanno tenuto bene, con qualche rara eccezione, dovuta a successive determinazioni del del Riesame.
A proposito del Tdl, a Cosenza, è stato restituito il cellulare di un indagato che avrebbe potuto portare alla identificazione di una vera e propria “talpa” che sarebbe interna alle forze dell’ordine e che informava gli indagati sulla presenza di microspie e telecamere. L’inchiesta è stata bruciata e la “gola profonda” sarebbe riuscita a farla franca. Alle inchieste sulla Pubblica amministrazione, si aggiungono numerosissime indagini e soluzioni di veri e propri gialli, legati a omicidi. Si ricorda, ad esempio, l’omicidio della donna di Belvedere, il deragliamento del treno in galleria, i casi di caporalato, i furti con spaccata, le patenti facili, la banda delle Fiat Panda, l’olio taroccato. In tema di sanità, infine, si cita, tra l’altro, lo spaventoso crack della clinica Tricarico e l’interdittiva all’ex direttore dell’ospedale Spoke.
Indagini che hanno visto protagonisti i magistrati del pool di Bruni: Maria Francesca Cerchiara, Antonio Lepre, Rossana Esposito, Maria Teresa Grieco, impegnati in attività che vedono la durata media totale dei tempi di definizione dei fascicoli noti di soli 140 giorni mentre l’86 per cento delle sentenze penali in sede di udienza gip si concludono con una condanna (dati 2020).
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