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“Voglio andare in carcere”. Il poliziotto si stropiccia gli occhi incredulo e dà una scrollatina alle orecchie, ma ciò che ha appena udito corrisponde al vero. “Voglio andare in carcere, a casa con mia moglie non ci torno”.

A esprimersi in questi termini è Akim, marocchino di trent’anni residente nel centro storico di Cosenza e per recarsi in questura a esternare quel desiderio insolito ha commesso un reato: ha violato la detenzione domiciliare a cui è sottoposto da marzo, conseguenza di una condanna per resistenza a pubblico ufficiale.

Ai domiciliari Akim dovrebbe restarci per qualche altro mese, ma i litigi in serie con la consorte sua connazionale gli hanno reso la vita insostenibile.

L’ultimo, venerdì scorso, lo fa sbottare al punto da indurlo ad abbandonare il suo domicilio coatto e a presentarsi negli uffici di via Palatucci con in testa un progetto semplice quanto efficace: “Ho commesso un reato, arrestatemi”.

C’è andato molto vicino, perché alla denuncia per evasione ha fatto seguito un processo per direttissima durante il quale lui stesso ha riproposto in aula tutti i temi della vicenda, regalando ai presenti un pezzo di neorealismo con gli ingredienti della commedia all’italiana.

Per un’oretta abbondante Akim ha indossato panni rosselliniani, quelli del Salvatore Lo Jacono interpretato da Totò in “Dov’è la libertà?” (1954) che, deluso come lui dal mondo esterno – e più in generale dalla vita – matura il suo stesso proposito: tornare dietro le sbarre, laddove “l’aria, quando riesce a entrare, è ottima”.

C’è andato vicino, dicevamo, perché il pubblico ministero d’udienza aveva preso talmente a cuore la sua causa da chiederne la condanna a sei mesi di reclusione, pur non avanzando richieste di applicazioni di misure cautelari.

Per centrare il suo obiettivo il protagonista del film aggredirà platealmente il suo avvocato; quello di Akim – Salvatore Rauso – non va incontro, invece, al destino del suo omologo di celluloide. Difende il suo cliente così bene da fargli ottenere la più indesiderata delle assoluzioni, certificata poi dal giudice Urania Granata. Peccato, perché per dirla ancora con Totò-Lo Jacono: “Il piano era fatto ad hoc”.

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