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L'ospedale dell'Annunziata di Cosenza

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A POCO più di una settimana dalla tragedia dell’Annunziata, le circostanze in cui è maturata la morte di Mariangela Colonnese e del bimbo di sei mesi che portava in grembo, continuano a essere ammantate dal mistero.

A sgombrare il campo da ogni dubbio non saranno solo i risultati dell’autopsia, per i quali bisognerà attendere ancora dei mesi, ma anche la ricostruzione fedele degli ultimi giorni di vita della 34enne originaria di Longobardi, aspetto sul quale sta lavorando la Squadra Mobile guidata da Fabio Catalano. Si tratterà di mettere a sistema le testimonianze con i dati riportati nella cartella clinica della donna, dribblando anche le imprecisioni e le trappole disseminate lungo un percorso investigativo che si annuncia ostico e tortuoso.

Una riguarda il mancato ricovero di Mariangela, l’anticamera della tragedia, erroneamente indicato nel 17 agosto in sede di denuncia, ma risalente invece a cinque giorni prima. È il 12 di agosto, infatti, che la futura mamma si presenta al Pronto soccorso dell’Annunziata lamentando dolori al basso ventre che le provocano dissenteria e vomito, ma in quella circostanza viene rispedita a casa con una semplice iniezione che, nelle intenzioni dei medici, serve a contrastare l’eventualità di un parto prematuro. Mariangela si ripresenta in ospedale una settimana più tardi e, anche in quell’occasione, i sintomi dai quali è affetta sono ricollegati a minacce d’aborto o alla possibilità che il bimbo possa venire alla luce in anticipo.

È il 19 agosto quando Mariangela entra in reparto e le sue condizioni di sembrano buone: non ha febbre né dolori, i medici la tengono sotto controllo e le somministrano altri farmaci sempre riferiti alla sua gravidanza. Poco dopo la mezzanotte, però, il quadro clinico peggiora. I dolori si fanno insostenibili e, a quanto pare, emerge la presenza di questa semiocclusione intestinale sulla quale oggi si concentrano le attenzioni dei medici legali.

Un anestesista i medici della Chirurgia d’urgenza per un consulto, ma quest’ultimi non possono intervenire perché impegnati in un’altra operazione e gli chiedono di rivolgersi a un altro chirurgo. Ne viene fuori un botta e risposta a suon di comunicazioni per iscritto ora acquisite dagli inquirenti e che, per il momento, ha fatto finire tutti i diretti interessati nel registro degli indagati. Non a caso, è questa una delle ipotesi di omissione di soccorso su cui lavora la Procura.

Nel frattempo, però, la situazione precipita. Mariangela vomita in modo torrenziale e va in arresto cardiaco per ben due volte; l’ultima le risulterà fatale. Con ogni probabilità il cuore di suo figlio, che avrebbe dovuto chiamarsi Lorenzo, cede qualche istante prima del suo. Inutile si rivela l’ultimo viaggio in Rianimazione. Fin qui i fatti che precedono il dramma, il resto è ancora più che mai nebuloso: le cause della morte ed eventualità responsabilità umane a esse collegate rimangono sospese in attesa delle determinazioni degli inquirenti.

Al momento, sono dodici gli operatori sanitari iscritti nel registro degli indagati, difesi dagli avvocati Filippo Amoroso, Enzo Belvedere, Nicola Carratelli, Francesco Chiaia, Massimiliano Coppa, Rosario Maletta, Ornella Nucci e Pasquale Vaccaro. A rappresentare le parti civili, invece, sono gli avvocati Fiorella Bozzarello e Filippo Cinnante.

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