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CATANZARO – Tra i 45 destinatari della misura cautelare dell’operazione denominata “Valle dell’Esaro” (LEGGI LA NOTIZIA) c’è anche il 34enne Marco Patitucci, vittima lo scorso 30 gennaio di un tentato omicidio dai contorni misteriosi, avvenuto a Sovico, in provincia di Monza. L’uomo, infatti, è stato rinchiuso con altre tre persone in un magazzino poi dato alle fiamme con il chiaro intento di ucciderli. Per le gravi ferite riportate, è stato ricoverato in prognosi riservata e intubato. «Su questo episodio si sta cercando di fare luce l’episodio, se visto nel quadro delle indagini eseguite e dalle nostre attività svolte in questa operazione, può avere una chiave di lettura, visto l’esito del provvedimento di oggi». È quanto hanno dichiarato gli inquirenti durante la conferenza stampa convocata ieri a Catanzaro per illustrare i risultati dell’operazione “Valle dell’Esaro”.
«Abbiamo colpito un gruppo spietato e organizzato militarmente» ha affermato il procuratore Nicola Gratteri a proposito dell’organizzazione alla quale, oltre al reato associativo, vengono contestati numerosi casi di cessioni di droga e alcuni episodi episodi di estorsione, ricettazione, detenzione di armi. Durante le perquisizioni ne sono spuntate anche alcune da guerra. «Un traffico di droga che ha riguardato almeno un quarto del territorio della provincia di Cosenza – ha aggiunto Gratteri – Un traffico di droga connotato da molta violenza, perché la famiglia che lo gestiva è una famiglia di ’ndrangheta e abbiamo molti episodi di pestaggi, di spedizioni punitive proprio verso chi non pagava. Abbiamo un traffico sistematico per quanto riguarda la vendita della cocaina che veniva dalla provincia di Reggio Calabria e anche un traffico consistente di marijuana. La caratteristica è che in modo mafioso controllavano minuziosamente tutto il loro territorio e nessuno poteva andare a vendere droga, se non facente parte di questa famiglia di ‘ndrangheta. Era talmente asfissiante la vendita e il controllo che anche la squadra di calcio del Roggiano Gravina, allenatore e calciatori, compravano la cocaina da questa famiglia». Oltre a lui erano presenti anche il direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Francesco Messina, il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla (titolare del fascicolo insieme al pm Alessandro Riello), il direttore dello Sco Fausto Lamparelli, il capo della Squadra Mobile di Cosenza Fabio Catalano e quello di Catanzaro Alfonso Iadevaia.
Di «un’attività investigativa portata avanti con attività tecniche e di investigazioni tradizionali» ha parlato Capomolla, aggiungendo come le stesse abbiano consentito «di penetrare nella rete di relazioni che costituiva la struttura dell’associazione». Non solo arresti, però, ma anche un duro colpo alle casseforti del gruppo che, a quanto pare, ripuliva il denaro sporco investendo in immobili e imprese intestate ai quattro indagati al vertice dell’organizzazione. Il risultato è che beni per due milioni di euro tra fabbricati, auto, terreni e conti correnti sono stati sequestrati dagli uomini del Servizio centrale operativo e dalle due Squadre Mobili supportati da pattuglie di diversi reparti Prevenzione crimine, nonché dalle Questure di Reggio Calabria, Monza-Brianza, Viterbo e L’Aquila, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.
«Sicuramente c’era una metodologia mafiosa anche nello spaccio degli stupefacenti – ha evidenziato Messina – Si trattava di un’organizzazione militare, gerarchicamente strutturata, con una capacità di controllare il territorio e affermare e far valere il proprio potere mafioso. Abbiamo disarticolato questa organizzazione e continueremo in questa attività perché noi, e dobbiamo pensare a sradicare dal territorio la malapianta. Per fare questo dobbiamo prima neutralizzare il suo apparato militare».
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