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Teresa Cannata assieme alla madre

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Domani 16 marzo, a Cosenza, l’incontro pubblico con una serie di testimonianze in ricordo delle vittime innocenti di mafia


COSENZA – Fare memoria e farla attraverso le testimonianze dei familiari delle vittime innocenti delle mafie che domani pomeriggio (16 marzo), con inizio alle 17 e 30, si racconteranno nella sala consiliare del Comune di Cosenza, nel corso dell’iniziativa: “Mafia. La memoria delle donne”, organizzata dal “Quotidiano del Sud” e dalla Fondazione “Mario Dodaro”.
Tra loro Teresa Cannata, figlia di Domenico, l’elettricista ucciso con una carica di tritolo posizionata sotto il davanzale di una finestra, il 16 aprile del 1977 a Polistena.

«Avevo 16 anni quando uccisero mio padre – spiega Teresa – e non solo mi ritrovai a vivere una vita diversa ma mi sono sempre sentita come una persona alla quale avevano improvvisamente tagliato le ali. Di colpo cambiò tutto nelle nostre vite. E abbiamo cercato, con forza e tenacia, di mantenere sempre viva la memoria di mio padre. Incontrando tanti giovani per metterli in guardia contro i pericoli delle mafie. Sia papà che mio nonno si sono sempre rifiutati di pagare il pizzo. E il loro esempio è stato determinante nella nostra formazione sia come figli che come genitori. Ai ragazzi diciamo sempre di non lasciarsi attrarre dai falsi miti ma di impegnarsi a costruire la loro esistenza su valori veri e non effimeri».

Nel corso dell’iniziativa organizzata dal Quotidiano del Sud, saranno presenti anche Doris Lo Moro, magistrata e politica calabrese, Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino, Angelo Garavaglia Frangetta, presidente del Movimento delle Agende rosse, Brizio Montinaro, fratello di Antonio Montinaro, caposcorta del giudice Giovanni Falcone, Francesca e Tita Biccheri, mamma e nonna di Mariangela Anzalone uccisa a 9 anni insieme al nonno Giuseppe Biccheri, a Oppido Mamertina e Anna e Antonio Fava, genitori di Celestino Fava, il ventiduenne ucciso a Palizzi il 29 novembre del 1996.

«La memoria – spiega Brizio Montinaro – pone una domanda: quali e quante memorie ci sono? Perché sia nella qualità che nella quantità ci si può perdere nel concetto di memoria. È chiaro che quando si parla di memoria attinente a tematiche legate a lutti, io personalmente vivo due dimensioni: quello personale, profondo, e la memoria attiva che emerge in modo rituale durante le manifestazioni per essere percepita anche da chi non ha vissuto direttamente uno strappo personale».
Fare memoria significa anche ridare forma e sostanza a storie e persone altrimenti dimenticate. Fu proprio la madre di Brizio Montinaro, qualche anno dopo la morte del figlio Antonio, a rilevare che quando si parlava della strage di Capaci, si parlava del giudice Giovanni Falcone e della moglie Francesca Morvillo. Ma poche volte venivano fatti i nomi degli uomini della scorta che avevano perso la vita. E la sua osservazione – come ricorda don Luigi Ciotti – presidente nazionale dell’associazione “Libera” – lo ha fatto riflettere sulla necessità di ricordare, una per una, tutte le vittime innocenti delle mafie.

Grazie alla testimonianza di Marisa Manzini, sostituto procuratore presso la procura generale di Catanzaro, saranno ricordate anche le donne nate e vissute in contesti mafiosi. Che hanno cercato di allontanarsi dalle loro famiglie pagando con la vita il loro atto di ribellione.
L’incontro si concluderà con il referente regionale di Libera Giuseppe Borrello che traccerà la figura di don Italo Calabrò. La testimonianza esclusiva di una donna di mafia che ha aderito al progetto “Liberi di scegliere”. E l’intervento di don Giorgio De Checchi, sacerdote impegnato con “Libera” nella costruzione di nuovi percorsi di legalità.

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