Angela Maria Aieta
5 minuti per la letturaGLI anni della dittatura militare restano una ferita aperta in Argentina, un passato doloroso con cui bisogna ancora fare i conti. Il dramma di migliaia di desaparecidos che scomparvero nel nulla tra il 1976 e il 1983 impone di rinsaldare la memoria collettiva. In questa immane tragedia c’è anche un pezzo di Calabria. La comunità calabrese in Argentina, a partire dagli inizi del XX secolo, è stata molto folta. Intere generazioni di persone oneste e laboriose che hanno messo radici in quel lembo dell’America Latina. Tra queste c’era anche Angela Maria Aieta, nata a Fuscaldo, cittadina del Tirreno cosentino, nel 1920 ed emigrata da bambina in Argentina. Qui crebbe e convolò a nozze con Umberto Gullo da cui ebbe quattro figli. Angela Maria era una donna intelligente e determinata, proveniva da una famiglia antifascista e avvertì l’inquietante clima che si respirava in Argentina intorno alla metà degli anni Settanta. Un periodo di forte instabilità socio-economica con le frange conservatrici e reazionarie delle società che erano ossessionate dal pericolo “rosso”. Il figlio, Dante Gullo, era il leader della “Gioventù peronista”. Poi il 26 marzo del 1976 il colpo di stato della Giunta militare cambierà irrimediabilmente il corso degli eventi. Il generale Jorge Rafael Videla instaurò la dittatura militare dando il via alla sospensione della Costituzione, allo scioglimento del Parlamento e dei partiti e a una sanguinosa repressione. Dona Maria, così conosciuta da amici e parenti, fece di tutto per aiutare il figlio Dante che era stato nel frattempo arrestato e detenuto “legalmente”. Denunciò la situazione a cui erano sottoposti i prigionieri politici, aiutò gli amici del figlio che cercavano rifugio e durante le visite portava e riceveva informazioni. Lottò incessantemente per ottenere la liberazione del figlio. Quella casalinga calabrese di mezza età era diventata una vera e propria spina nel fianco per uno dei regimi dittatoriali più feroci della storia. Il 5 agosto del 1976, all’età di 56 anni, sarà prelevata dalla sua casa, da un gruppo di militari e portata all’Esma, scuola di formazione ufficiali della marina argentina, ma diventato un famigerato centro di detenzione e di tortura, da dove purtroppo non farà più ritorno. Dalle testimonianze dei pochi sopravvissuti, è stato possibile ricostruire il modo in cui ha vissuto l’indefinito periodo di prigionia. Un girone dantesco in cui i detenuti erano sottoposti a ogni genere di supplizio. Il trattamento riservato alle donne dai carcerieri fu orribile. Torturate, picchiate, con la pistola puntata alla tempia o in bocca, con un medico pronto a dire ai carcerieri quando potevano riprendere con la picana elettrica sul lettino di ferro. Un’assordante musica proveniente dagli altoparlanti faceva da macabro sottofondo. Le prigioniere stavano sdraiate a terra, incappucciate e bendate, pestate a sangue se parlavano tra di loro, incatenate ai piedi e ammanettate anche quando dovevano mangiare. Le donne, per la maggior parte molto giovani, venivano stuprate più volte, anche da più militari. Il sadismo dei carcerieri era raccapricciante: ustioni tramite sigarette, rottura di alcune ossa, ferimento ai piedi con oggetti appuntiti e varie pratiche di soffocamento. Lo scopo era di uccidere l’anima dei prigionieri prima ancora del loro corpo.
Angela Maria, insieme a migliaia di altre detenute, subì tali brutalità. Considerata l’età media molto bassa delle prigioniere, Dona Maria rappresentò una sorta di punto di riferimento materno. In effetti le testimonianze delle sopravvissute la ricordano come impavida anche in quell’inferno quotidiano e pronta a rincuorare le detenute dopo le estenuanti sessioni di tortura. Un giorno vide in bagno (unico luogo in cui i prigionieri potevano togliere la benda) una giovane ragazza spaventata che piangeva, le si avvicinò e le chiese se potesse fare qualcosa per lei. Poche e semplici parole che in quel ricettacolo di malvagità assumevano un significato profondo e commovente. Una forza d’animo che irritava i militari e ne scatenava un accanimento nei confronti della donna. La morte dei prigionieri politici avveniva tramite fucilazione, oppure caricati su un aeroplano e gettati vivi nell’Oceano Atlantico o nel Rio della Plata. Pochi mesi dopo il sequestro toccò anche ad Angela Maria andare incontro alla morte. Inutile dire che non rivelò mai nulla che potesse mettere a repentaglio la sorte dei figli e degli altri attivisti. Caricata su un aereo, fu gettata nell’oceano in pasto agli squali, attirati dagli squarci sul suo corpo, provocati appositamente dai militari.
Anche il figlio Salvatore figura tra i desaparecidos: fuggito in Italia, per organizzare la lotta contro la dittatura militare, al suo ritorno in Argentina fu arrestato mentre era con la sua bimba e mai più ritrovato. Dante riuscì invece a sopravvivere (è morto nel 2019), negli anni Ottanta entrò a far parte di una delle principali organizzazioni di tutela dei diritti umani, diventando in seguito deputato. Per la sparizione e l’omicidio di Angela Maria Aieta la magistratura italiana ha condannato all’ergastolo l’ex ufficiale della Marina militare argentina Alfredo Astiz soprannominato “l’angelo della morte” e i gerarchi argentini Eduardo Acosta, Jorge Raul Vildoza, Antonio Vanek ed Hector Antonio Fabres. È stata dedicata ad Angela Maria Aieta una piazza a Buenos Aires mentre il Comune di Fuscaldo le ha intitolato la scuola elementare.
Proprio una parente di Angela Maria, Anna Maria De Luca, da anni si batte per far conoscere al mondo questa storia. È autrice di libri sulle vicende dei desaparecidos e da cronista di “Repubblica” ha seguito tutte le fasi dello storico processo che ha portato alla condanna dei criminali argentini per l’assassinio della fuscaldese. «Non ho mai conosciuto Angela Maria ma mi dicono che le somiglio molto caratterialmente. Ho sempre sentito di avere un legame speciale con lei, una donna forte e generosa che anche nel periodo della prigionia ha cercato di aiutare gli altri». Il 5 agosto di ogni anno Anna Maria De Luca a bordo di un’imbarcazione posa nel mare di Fuscaldo una corona di fiori in memoria di Angela Maria. «Sarebbe bello se qualche produttore decidesse di fare un film su Dona Maria per onorarne ancor di più la memoria», ha aggiunto Anna Maria De Luca.
«Angela Maria Aieta è un emblema di libertà e democrazia, da anni le è stata intitolata la scuola, questo vuole essere un messaggio per le nuove generazioni», ha affermato il sindaco di Fuscaldo Giacomo Middea.
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