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La Stazione delle Ferrovie distrutta il 12 aprile 1943

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COSENZA – Nella primavera del ’43, nonostante la martellante ma ormai improbabile propaganda fascista, i cosentini avevano compreso che l’Italia di Mussolini stava perdendo la guerra.

D’altro canto non bisognava essere dei novelli Milziade per capire che la disastrosa ritirata dell’Armir in Russia e la sconfitta delle truppe dell’Asse ad El-Alamein erano segnali lampanti di una disfatta ormai imminente. La città aveva conosciuto solo indirettamente gli orrori della guerra. La stampa, i cinegiornali di regime e le lettere dei soldati dal fronte rappresentarono per molti mesi l’unica finestra sugli eventi bellici.

Cosenza non era una città “strategica” dal punto di vista militare e anche lo snodo ferroviario non assumeva una particolare rilevanza. In Calabria i bombardamenti interessarono per lo più le città costiere sia sullo Ionio che sul Tirreno. Per quasi tre anni il capoluogo bruzio visse in un’atmosfera quasi surreale, i cittadini vivevano l’angoscia della sorte dei loro cari che combattevano al fronte ma potevano ritenersi fortunati di essere stati risparmiati dai bombardamenti. Molte altre città italiane invece erano già state terrorizzate dalle bombe sganciate dagli aviatori di Roosevelt e Churchill. Le certezze erano però destinate a soccombere nel modo più atroce possibile.

Alle ore 15.50 del 12 aprile 1943 una serie di boati furono avvertiti nitidamente in tutta la città. Dapprima qualcuno pensò a un terremoto, memore degli eventi sismici che sovente hanno interessato la città. Ben presto però fu chiaro che Cosenza aveva subito il primo raid aereo dall’inizio della guerra. E purtroppo non fu l’ultimo. Fino all’armistizio dell’8 settembre furono nove le incursioni aeree degli Alleati che causarono complessivamente 136 morti. Il 12 aprile del ’43 Cosenza era stata scelta, insieme a Crotone, come bersaglio secondario della missione contro il porto di Napoli, bersaglio primario e assegnato ai B-24 del 376° Bombardment Group decollati dalle coste nordafricane, in quanto le cattive condizioni meteorologiche avevano spinto gli aerei alleati a desistere dal bombardamento della città e a dirigersi sugli altri due obiettivi.

La stazione ferroviaria di Cosenza venne distrutta e morirono molti agenti in servizio. Fu bombardata anche la scuola dello Spirito Santo. Cinque bambini che frequentavano il plesso del popolare quartiere morirono sotto le macerie. Le piccole vittime si chiamavano Francesco Ferraro, Natalina Nigro, Antonietta Mauro, Anna Imbrogno e Francesca Pellegrino.

I morti nel raid di primavera furono oltre settanta, numerosi i feriti e gli sfollati. Dopo il 12 aprile 1943 gli altri attacchi aerei colpirono, invece, il teatro “A. Rendano” e la Biblioteca civica. La città venne colta di sorpresa, nonostante in quell’anno erano state predisposte costruzioni per ricoveri antiaerei in diverse zone. Le sirene d’allarme suonarono ad attacco ormai concluso e la contraerea si dimostrò totalmente inefficace. L’attacco fu stigmatizzato dalla stampa locale, il giornale “Cronache della Calabria” definì l’incursione «una barbarie anglo-americana».

Le autorità fasciste ovviamente non persero l’occasione per scagliarsi contro “la perfida Albione” che aveva bombardato una città inerme uccidendo degli innocenti. L’arcivescovo di Cosenza Aniello Calcara si recò immediatamente nel padiglione della Croce Rossa dell’ospedale civile per visitare i feriti e portare loro conforto.

Dopo il raid del 12 aprile ‘43 molti cosentini decisero di raggiungere amici e parenti nelle campagne e nei paesi vicini. Il bombardamento degli Alleati segnò profondamente la città innescando una spirale di paura e sofferenza da cui la comunità faticò a venirne fuori.

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