Luigi Gravina nel giorno del suo matrimonio con Luigina
6 minuti per la lettura«Quelle gomme sono pane per i miei figli». Rispose così Luigi Gravina a sua moglie quando gli chiese se aveva accolto le richieste degli uomini del clan Serpa. E fu proprio la sua resistenza al potere mafioso a portarlo alla morte oltre che la decisione di denunciare gli uomini che si erano presentati nella sua autofficina immaginando un atto di sottomissione. Ma si sbagliavano.
Il giovane meccanico di Paola difese il suo lavoro, la sua dignità e il suo attaccamento alla famiglia. Per questo fu ucciso da due sicari il 25 marzo del 1982. Aveva 33 anni e una vita costruita con fatica e grande slancio. Luigi non aspettava che le cose arrivassero dall’alto, fin da piccolo aveva fatto scelte precise riuscendo sempre a raggiungere i suoi obiettivi. Come con sua moglie, l’aveva scelta e voluta fin dalla prima volta che la vide ad appena tredici anni.
Luigina Violetta, originaria di Fuscaldo, conobbe Luigi quando ancora andava a scuola dalle suore.
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«Luigi lo vedevo sempre scendere in macchina, così per fare un giro, con addosso la tuta da meccanico – ricorda – e mi lanciava sguardi interessati. Poi si fece avanti e iniziammo a parlare ma io dovevo stare sempre molto attenta perché mio fratello che studiava anche lui a Paola, alla Ragioneria, e aveva quattro anni più di me, non mi vedesse con lui. Nella mia famiglia io ero l’unica figlia femmina arrivata dopo dodici maschi ed erano tutti un po’ gelosi di me. Se prendevo il pullman era soltanto perché c’era anche mio fratello che viaggiava a pochi metri, per intenderci».
La storia di Luigi e Luigina, inizialmente, venne vissuta dai due ragazzi “di nascosto” da tutti, ma quando il giovane meccanico capì di aver trovato la ragazza giusta per lui, si presentò dai genitori della sua fidanzatina per chiedere la sua mano. Si sposarono qualche anno dopo e da quel momento in poi non si lasciarono più.
Luigi, dopo aver lasciato il lavoro di dipendente alla Fiat aprì la sua autofficina in via Nazionale. La famiglia aumentava e lui voleva impegnarsi al massimo per soddisfare i bisogni di tutti. Nel giro di qualche anno nacquero cinque figli: Lina, Anna, Raffaele, Catia e Francesco, con i quali Luigi ebbe un rapporto di profonda tenerezza. Viveva per sua moglie e i suoi bambini e a loro dedicava tutto il suo tempo libero.
Tutto sembrava andare per il meglio fino a quando alcuni uomini della cosca Serpa non si presentarono nell’officina di Luigi Gravina vantando privilegi legati al loro status di ‘ndranghetisti. E fu in quel momento che il giovane meccanico dall’aria di bravo ragazzo e dal sorriso dolce, tirò fuori tutto il suo temperamento.
Disse no più volte alle loro richieste che consistevano in riparazioni e in gomme da montare sull’auto del fratello del boss e andò a denunciare l’accaduto. Il clan tentò di metterlo all’angolo incutendogli timore e cercando di colpirlo anche negli affetti più cari: tagliarono le gomme della macchina del padre e buttarono giù il portone di casa che era stato appena sostituito dopo che il precedente era stato danneggiato dalle fiamme. Un vero e proprio accerchiamento che non sortì, però, gli effetti sperati. Gravina agli inquirenti fece nomi e cognomi dei suoi aguzzini e li fece arrestare.
Un atto rivoluzionario quello di Luigi, se si considera che Paola, in quel particolare momento storico, era il 1982, era soffocata dalla presenza della criminalità organizzata, il suo potere aveva raggiunto senza alcuna resistenza anche i piani alti del Palazzo di giustizia e andava persino a braccetto con la politica. Due anni prima era stato ucciso a Cetraro Giannino Losardo, il segretario capo della Procura di Paola, e i malavitosi venivano fermati ai posti di blocco alla guida di auto intestate a qualche giudice.
«Quando diedero fuoco alla nostra macchina – ricorda Luigina – cominciò per me un momento di grande trepidazione. Stavo sempre incollata alla finestra sia quando usciva per andare al lavoro che quando tornava. Se poi ritardava, il mio cuore batteva a mille e questo nonostante dalla bocca di mio marito non sia mai uscita una sola parola su quanto stava accadendo. Luigi non parlava mai dei suoi problemi a casa, ha sempre cercato di proteggermi da tutto. Quando seppi che si erano presentati in autofficina per avere le gomme senza pagare, io allora gli chiesi se lui gliele aveva date e la sua risposta mi fece comprendere immediatamente che non avrebbe ceduto a nessuna pressione. A cinque giorni dalla comunicazione del Tribunale che lo informava del procedimento giudiziario a carico delle persone individuate in seguito alle sue denunce, fu ucciso. Erano le sette si sera».
E per Luigina da quel momento in poi iniziò un’altra esistenza, fatta di dolore da contenere e dai suoi cinque figli da crescere senza la figura dolce e rassicurante di un padre che seppur ancora giovanissimo, aveva già mostrato tutto il suo valore.
«Io ero a casa dei miei suoceri – spiega – e aspettavo che Luigi venisse a prendermi. Capitava spesso che quando usciva alle 14 e 30 per andare a lavorare, gli chiedessi di accompagnarmi con i bambini dai suoi genitori. E mentre eravamo tutti riuniti, sentimmo bussare alla porta. Era un nostro parente che ci informava che avevano sparato a Gino, così lo chiamavano mio marito. Io chiesi subito se era grave e la risposta immediata fu: “No, è morto”».
La notte stessa Luigina che aveva solo 25 anni, fu raggiunta dal commissario Cappelli. “Abbiamo preso gli assassini di suo marito”, le disse.
«Mi sono ritrovata improvvisamente sola con cinque figli e senza sapere neppure dove fosse il Comune – continua -. Luigi si era sempre fatto carico di tutto. Le donne per lui andavano protette e sottratte a ogni preoccupazione. Io dovevo occuparmi soltanto di lui e dei nostri bambini. Mi resi subito conto che non sapevo nemmeno come muovermi da sola e i miei suoceri mi chiesero di trasferirmi da loro ma tre mesi dopo tornai a casa mia e iniziai a cercare un lavoro. La mia prima figlia aveva otto anni e l’ultimo appena due».
La morte di suo marito per Luigina, oltre a rappresentare un dolore ancora vivo, segnò la fine delle scelte dettate dal cuore ma non ci ha pensato un solo istante a diventare altro da ciò che era e la sua storia è simile a quella di tante meravigliose donne di Calabria, mogli, madri e figlie, che nel momento del dolore estremo sono riuscite a vincere sul male che le ha investite e risucchiate, dando prova di grande forza e di un coraggio del tutto sconosciuto a chi spara a volto coperto, a chi è portatore di morte e devastazione e a chi fugge davanti alla grandezza di uomini come Luigi Gravina.
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