Giovanni Valentino
2 minuti per la letturaCOSENZA – È destino che i migliori vedano riconosciuti i propri meriti solo dopo la loro morte. Giovanni Valentino non fa eccezione alla regola. Lui, che pure di meriti ne ha avuti tanti, non si è mai curato di rivendicarli in vita ed è giusto che altri lo facciano in suo nome adesso che non c’è più.
In queste ore chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ne celebra giustamente il profilo umano e sociale, legando la sua figura a quella di Padre Fedele, e anche il mio piccolo contributo alla memoria non può che inserirsi in questo solco.
Ricordo perfettamente lo scotto che il monaco fu costretto a pagare nel biennio per lui orribile – quello tra il 2006 e il 2007 – in termini di accuse infamanti, ma soprattutto di solitudine. In quel periodo era davvero un uomo solo, gli erano rimasti fedeli davvero in pochi.
Alzi la mano chi c’era, ma io ricordo solo Francesco e Maria dell’Oasi, il suo avvocato nonché cugino Eugenio Bisceglia, i parenti di contrada Guarassano che gli avevano offerto un tetto e poi lui: Giovanni, il più fedele di tutti.
È stato la spalla su cui piangere, riversare le amarezze, cercare di conforto. Svolgeva un lavoro oscuro e prezioso, Valentino, raccoglieva i cocci che il Vulcanico all’epoca poco lucido – chi lo sarebbe stato al suo posto – disseminava al passaggio, rimettendoli poi insieme per evitare che gli eccessi e le intemperanze lo isolassero ancora di più.
La sconfitta è orfana, ma la vittoria ha sempre molti padri. E così quando il vento è cambiato, in linea con una vecchia tradizione patria, in molti hanno preso a iscriversi al partito vincitore, retrodatando la propria iscrizione. Senza battere ciglio Giovanni della Prima Ora, invisibile ai più, è tornato dietro le quinte senza incassare riconoscimenti. Non li ha cercati, non li ha voluti, filosofo della sottrazione e della sostanza.
I meriti si riconoscono dopo la morte, recita l’adagio dell’ingratitudine, e spesso si enfatizzano ben oltre il valore reale degli uomini e delle loro gesta. Nel suo caso invece si rischia l’effetto opposto. Lo abbiamo già sottovalutato abbastanza, merita un monumento all’amicizia. Prosit, Giova’: all’amicizia.
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