Denis Bergamini
4 minuti per la letturaC’è un altro uomo che la sera del 18 novembre 1989 percorre la Ss 106 diretto a Rimini. Sono da poco passate le 19 e Francesco Forte, torinese di nascita ma residente in Calabria, si ferma alla stazione di servizio per comprare le sigarette. Prima di reimmettersi sulla Statale, dà la precedenza al Fiat Iveco di Pisano, ma poco dopo, lo vede frenare all’improvviso e arrestare la marcia: quel camion ha appena investito il corpo di Bergamini.
Nell’abitacolo c’è Pisano, come in trance, che ripete: «Non l’ho visto, non l’ho visto».
Forte costeggia il guardrail e inciampa nel cadavere di Denis, ma teme che l’arrivo dei carabinieri possa trattenerlo sul posto; quindi abbandona la scena dopo pochi minuti.
Il suo racconto ammanta la tragedia di ulteriore casualità, tant’è che se non avesse operato quella sosta al rifornimento, forse oggi saremmo qui a sospettare di lui e non di Pisano.
Forte lo sa, come ammette lui stesso al telefono con Donata Bergamini: «Penso spesso al fatto che avrei potuto investirlo io».
A rintracciarlo è stata proprio la sorella di Denis su imbeccata di un avvocato di Paola e, in un primo momento, la sua versione dei fatti rimanda a scenari più foschi. L’uomo, infatti, sostiene di aver sentito Pisano dire «era già a terra», confortando così la tesi di un Bergamini già defunto prima di scontrarsi con la ruota anteriore destra del camion. E non solo. Parla di una ragazza in lacrime, trattenuta con la forza da due figuri e portata via a bordo di un’auto scura; ancora lei.
Va da sé che quando pochi minuti dopo arriva Panunzio, Isabella è sempre lì, al km 401; chi è allora la donna piangente avvistata da Forte?
La Statale 106, dicevamo, è strada trafficata. In tal senso, a «capannelli di curiosi» formatisi all’istante fanno accenno sia Giovanna Cornacchia – la moglie di Panunzio – che Rocco Giampietro, il fotografo convocato sul posto da Barbuscio.
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Davanti ai carabinieri, poi, lo stesso testimone non conferma quelle ultime parole udite da Pisano né la parte relativa all’auto scura. I suoi ricordi, spiega, potrebbero essersi sovrapposti a «informazioni apprese da internet». Le dichiarazioni, dunque, vengono utilizzate dal gip solo in chiave difensiva, a favore degli indagati. Che Pisano abbia frenato, infatti, va a smontare l’assunto di Gallerani che vuole il camion prendere la mira e sormontare di proposito il corpo di Denis a coronamento della recita.
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Del resto, che al momento dell’impatto le ruote dell’Iveco siano bloccate – sintomo della frenata in corso – lo confermano sia il perito Coscarelli nell’immediatezza che i carabinieri del Ris vent’anni più tardi. Proprio loro, i Ris, diventano bersaglio di una delle bufale – o come si chiamano oggi, post-verità – più inquinanti di tutta la vicenda.
Dal 2010, infatti, la quasi totalità dei mass media attribuisce loro la rivelazione di un Denis già morto prima di essere investito. Quando la notizia distorta comincia a dilagare, i diretti interessati provano a correggerla – «Non spetta a noi questa verifica, semmai ai medici legali» – ma è tutto inutile: una post-verità è tale proprio perché non teme smentite. E invece basta leggere la relazione a firma del maggiore Aldo Mattei, del capitano Carlo Romano e del maresciallo Vincenzo Lotti per accorgersi di come gli accertamenti svolti dal Reparto abbiano riguardato solo la Maserati, gli effetti personali della vittima e la dinamica dell’investimento. A tal proposito, i Ris ipotizzano un Bergamini già supino sull’asfalto all’arrivo del camion che procede lentamente, a 30 km orari. Le ruote sono bloccate, ragion per cui il corpo non viene scavalcato e poi travolto, ma resta agganciato allo pneumatico destro per pochi metri, forse cinque, il tempo di completare la frenata. La breve retromarcia operata poi dall’autista lo fa ruotare su se stesso, lasciandolo in posizione prona come documentato dalle foto. Questa ricostruzione, secondo il giudice, s’incrocia con il racconto di Pisano – «È andato giù come un fulmine» ha sempre sostenuto il camionista – e spiega anche l’assenza di altri traumi e lesioni da impatto, sia sul corpo che sugli accessori di Denis: la catenina, il bracciale, l’orologio e le scarpe. Per i consulenti della Procura, invece, se Denis si trovava «in posizione supina», può voler dire che era già morto prima di essere investito.
Nelle loro perizie, i medici Roberto Testi e Giorgio Bolino ne parlano in termini di possibilità, inaugurando così uno dei capitoli più controversi della vicenda.
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