Denis Bergamini
4 minuti per la letturaCOSENZA – Dopo la morte di Denis, Isabella si fa accompagnare da un automobilista di passaggio in un bar nelle vicinanze.
«Era un ragazzo; ha lasciato la moglie incinta nella sua macchina – una Ritmo o una Golf – e siamo andati con la Maserati».
Per l’avvocato Eugenio Gallerani, difensore della famiglia Bergamini, «il cuore del problema» sta proprio lì. Nella sua ricostruzione, l’auto di Denis non si sarebbe mai mossa dalla scena del crimine. Non esisteva alcun automobilista; si trattava dell’assassino o di uno degli assassini, e quella era tutta una cospirazione. Il dossier di oltre duecento pagine – decisivo per la riapertura dell’inchiesta nel 2010 – parte proprio da questo assunto. Il problema, però, è che quell’automobilista esiste davvero. E l’avvocato lo sa bene, tanto da incassare poi la reprimenda di Procura e giudice per aver nascosto informazioni all’autorità giudiziaria.
Il passante si chiama Mario Panunzio; è originario di Taranto e il suo cognome evoca quello di un personaggio del film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.
È stato proprio Gallerani a contattarlo telefonicamente un anno prima, risalendo a lui grazie a una foto d’epoca che immortala la sua Fiat Ritmo sul luogo della tragedia (nella foto). Panunzio conferma di ricordare gli eventi accaduti quel giorno, ma poi riaggancia non sapendo chi ci sia dall’altro capo del filo. Quando però nel 2010 arrivano da lui i carabinieri, allora mette tutto nero su bianco.
Quella sera è diretto a San Lorenzo Bellizzi, insieme a moglie e suoceri, quando dal buio affiora una ragazza che si sbraccia per richiamare la sua attenzione. È Isabella Internò, che gli corre incontro e si butta a peso morto sul suo cofano. «Il mio ragazzo si è suicidato» ripete tra le lacrime.
Poco distante ci sono il camion e Denis ormai privo di vita. Panunzio ricorda gli strepiti dell’autista: «Trent’anni sulla strada, e questo ragazzo ora sotto alle mie ruote doveva finire?». Isabella e Pisano, i due presunti assassini protagonisti di una scena di ordinaria disperazione. Mentono? Panunzio non può dirlo, perché a differenza del suo omologo di celluloide non deve coprire responsabilità altrui: è lì per caso, catapultato sulla scena di un futuro mistero, anche se lui ancora lo ignora.
[editor_embed_node type=”photogallery”]78015[/editor_embed_node]
«Portami a Cosenza, voglio tornare a Cosenza da mia mamma», gli ripete Isabella durante il tragitto verso il bar. La Ss 106 è una strada trafficata, a tutte le ore del giorno e della notte. E se Panunzio è testimone della fine, c’è anche chi ha qualcosa da dire sull’inizio.
LEGGI TUTTE LE NOTIZIE SUL CASO DI DENIS BERGAMINI
NEL FASCICOLO IN AGGIORNAMENTO DINAMICO
Rocco Napoli ad esempio. Pure lui si trova a passare da lì poco prima della sette, quando tutto non è ancora compiuto. È alla guida di un furgone e trasporta frutta, con la fidanzata che gli dorme a fianco e la cognata sul sedile posteriore. La donna si ridesta a seguito di una manovra un po’ brusca.
«Ma lo hai visto? – le dice Rocco – Per poco non lo investivo, ma si vuole fare ammazzare?». In seguito, spiegherà in tribunale di aver notato un’auto bianca ferma nella piazzola di sosta con una sagoma seduta al posto del passeggero e un uomo che, sceso dal lato di guida, si dirigeva con le mani in tasca verso la carreggiata; così sterza a sinistra perché ha la percezione di poterlo investire.
Erano proprio Denis e Isabella? Per gli investigatori non c’è alcun dubbio che si tratti di loro. Il testimone non si presenta subito dai carabinieri, apprende la notizia dai giornali e poi si confida con sua cugina Anna, una studentessa universitaria. È lei che lo spinge a recarsi dai carabinieri a rendere dichiarazioni, le stesse che ribadirà 24 anni dopo da dietro le sbarre. Sì, perché in quel 2013, Rocco Napoli è in carcere per una brutta storia di narcotraffico sulla rotta italo-albanese, circostanza poi utilizzata dal difensore della famiglia Bergamini per metterne in dubbio l’attendibilità, paventando – ca va sans dire – che faccia parte anche lui della cospirazione. Una tecnica utilizzata pure contro Pisano alla luce del coinvolgimento di uno dei suoi figli nell’operazione antimafia “Crimine”, ma la Procura stigmatizzerà tali richiami come «irrilevanti, capziosi e latamente calunniosi». Sospetti retroattivi a parte, Napoli e Panunzio rappresentano per i sostenitori del complotto, due ostacoli ancora oggi insuperati. E sulla scena sta per irrompere un terzo testimone ancora più scomodo.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA