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COSENZA – Associazione mafiosa, concorso esterno, corruzione, turbativa d’asta, minacce. Persino sequestro di persona. Sono alcuni dei reati contestati dagli inquirenti a manovali dei clan, colletti bianchi, politici, imprenditori che avevano le mani sulla città di Scalea, centro turistico del tirreno cosentino di 11.000 abitanti.
I Carabinieri del comando provinciale di Cosenza, guidato dal colonnello Francesco Ferace, unitamente ai Ros ieri all’alba hanno tratto in arresto 38 persone e altre 21 sono state denunciate a piede libero. In manette, in particolare, sono finiti il sindaco e cinque dei sei assessori che componevano la sua giunta. Con loro anche tecnici comunali, il comandante della Polizia Municipale e un avvocato. Un vero e proprio comitato d’affari a cui la Dda contesta l’aggravante mafiosa.
Cosche che gestivano gli appalti milionari del Comune grazie al sindaco Pasquale Basile che incassato il sostegno del clan alle elezioni del 2010 avrebbe poi ricambiato facendo, di fatto, gestire gli appalti al gruppo “Valente e Stummo”, ed «esercita il suo mandato, in quella che è possibile definire una sede ignota ai più: lo studio Nocito nel quale non esita a sedere allo stesso tavolo con Pietro Valente», indicato come uno dei boss.
Niente, secondo l’accusa, sfuggiva agli appetiti dei Valente-Stummo, che secondo la ricostruzione della Dda, dipendono dal “locale” di Cetraro capeggiato dalla famiglia Muto.
Agli atti è finito anche l’appalto di 14 milioni di euro per la costruzione del porto turistico concesso dall’amministrazione precedente, guidata da Mario Russo (tra gli indagati) e anch’essa «legata ai Valente» a un’impresa vicina al clan Cesarano di Castellamare di Stabia. Mentre su tutti gli altri appalti hanno messo le mani i Valenti e gli Stummo. Addirittura si sono spartite le concessioni per porzioni di terreno demaniale dove realizzare lidi e chioschi. Anche la pubblicità nelle aree demaniali veniva gestita dalla ‘ndrangheta. In tale contesto, dunque, maturava l’aggiudicazione dei vari appalti comunali. Per uno, quello per la raccolta dei rifiuti, con base d’asta di 11,2 mln di euro, aggiudicato alla Ati Avvenire – Balsebre di Gioia del Colle (Bari), secondo l’accusa c’è stato l’accordo per una tangente di 500 mila euro, solo in parte corrisposta, in favore di Pietro Valente e Alvaro Sollazzo, nipote di Mario Stummo, di Basile e di Galiano. In passato la stessa imposizione era stata provata nei confronti della ditta campana Logistica Adiletta Scarl. Un loro rappresentante fu convocato in un appartamento di Scalea per chiedere il versamento della tangente. In quell’occasione gli venne mostrata un’ascia dicendogli che l’avrebbero utilizzata contro di lui ove non avesse corrisposto la somma richiestagli.
I proventi di questi illeciti venivano tutti reinvestiti attraverso l’apertura di diversi supermercati, concessionarie di auto, agenzie di viaggi, parchi divertimento, attività commerciali e negozi di abbigliamento; in quello immobiliare, con la realizzazione di società finalizzate all’acquisizione di fabbricati, appartamenti e magazzini, anche attraverso aste fallimentari “pilotate”; in quello agricolo, attraverso la costituzione di cooperative e società agricole, che hanno acquistato terreni per 50 ettari senza dichiarare tali possidenze al fisco; in quello turistico, attraverso la gestione dei lidi balneari, come “L’Angelica” e “l’Aqua Mar” realizzati su terreni del Demanio. Complessivamente, è stato disposto il sequestro preventivo per un valore di circa 60 milioni che comprendono 22 società; 81 immobili, dislocati anche a Matera, Perugia, e Rocca di Cave (RM), depositi, ville ed abitazioni, numerosi negozi e circa 50 ettari di terreno; 33 autoveicoli, tra cui Jaguar, BMW, Mercedes ed auto d’epoca; 78 rapporti bancari, con saldi positivi per circa 2 milioni 695.685 euro.
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