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Il procuratore Guido, al centro, insieme agli studenti del liceo Fermi di Cosenza

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COSENZA – Non ama i riflettori né li cerca Paolo Guido, il magistrato cosentino che lo scorso 16 gennaio ha arrestato – da procuratore aggiunto di Palermo – l’ormai ex super latitante Matteo Messina Denaro (LEGGI LA NOTIZIA). Pochissime le interviste rilasciate. La prima, all’indomani della cattura del boss, proprio alla nostra Luciana De Luca per il Quotidiano del Sud (LEGGI). Ha declinato, si racconta, tanti inviti, in tv e a eventi. E non è un caso quindi che abbia scelto per la prima uscita pubblica dopo quell’arresto eccellente la sua Cosenza e il suo liceo, lo scientifico “Enrico Fermi”. «No, non è stata una cosa casuale – conferma al telefono – ma una scelta con alto valore simbolico».

L’appuntamento è al cinema Garden, l’occasione l’assemblea d’istituto del “Fermi”. L’invito al procuratore Guido è arrivato proprio dagli studenti. «Volevamo organizzare un incontro che avesse come tema la legalità e l’idea di invitare il procuratore Guido c’era venuta già prima dell’eclatante arresto del boss» racconta Lorenzo Chiodo, uno dei rappresentanti d’istituto del liceo. Insieme a lui, hanno partecipato all’organizzazione dell’assemblea gli altri rappresentanti: Niccolò Alberti, Giorgio Parise, Emma Veltri, Marta Furci, Alfredo Bisceglia, Niccolò Perrotta, Luigi Pastore. «Un supporto importante è arrivato dalla dirigente Angela Corso, dalla sua vice Ermelinda Petraroli e dal professor Francesco Gaudio» aggiunge, ancora emozionato per l’incontro.

Il “gancio” è arrivato grazie a un altro studente del “Fermi”, Andrea Romei: i suoi genitori erano stati compagni di classe di Paolo Guido al liceo. E quanto contino per lui le radici è ormai chiaro. «Quando frequentavo il liceo, Cosenza era una realtà difficile, i giovani scappavano. Ora vedo il fenomeno inverso. Diversi colleghi, arrivati qui come prima nomina, hanno scelto ad esempio di restare. Negli anni ho riscoperto l’orgoglio di essere cosentino. E ogni volta che vengo qui con amici e colleghi raccolgo il loro apprezzamento sulla città» racconta agli studenti del «mio liceo» durante l’assemblea.

L’ingresso in sala è scandito da applausi scroscianti. «Non ci sono abituato – si schermisce – Normalmente, quando facciamo il nostro lavoro nelle aule di giustizia non riceviamo applausi». Tante domande dei ragazzi riguardano, naturalmente, il suo lavoro di magistrato e il suo ultimo successo. Metter fine alla latitanza trentennale del boss Messina Denaro, però, «non è un mio risultato personale, – rimarca – io ho coordinato il lavoro di tanti. Perché, ragazzi, ricordate: questo mondo non è fatto di eroi. Gli eroi non esistono. Esistono le strutture, esiste l’intelligenza collettiva, esiste il gruppo. Cercate sempre di condividere passioni, entusiasmi, sogni. Fatelo ora, fatelo nella vostra futura professione, qualunque sia. Nella vita gli obiettivi si raggiungono insieme». Ed è anche per questo motivo che dice di non sentire sulle proprie spalle il peso di una missione. Quella missione – la lotta alla mafia – «è patrimonio di tutti».

I ragazzi vanno oltre, chiedono se dietro l’arresto si possa adombrare l’idea di una trattativa Stato-mafia. Riecheggiano le dichiarazioni – o la profezia – di Salvatore Baiardo, l’ex uomo di fiducia dei Graviano. Facevano più o meno così: Matteo Messina Denaro è malato e, chissà, magari si consegna. «Io indago su Messina Denaro da 17 anni. La prima cosa che ho sentito era che fosse malato. C’era chi parlava dei reni, chi degli occhi, chi di un tumore. Ne ho sentite di tutti i tipi. Quindi non so, non posso escludere né esser certo che Baiardo sapesse qualcosa sulle sue condizioni di salute. Quello però che posso escludere – ha detto Guido – è che si sia consegnato. Le nostre informazioni sulle condizioni di Messina Denaro sono state acquisite con metodi investigativi eccezionali e l’arresto è frutto di indagini certosine. Di ciò che dice Baiardo non ho traccia».

Né deve stupire che l’arresto sia arrivato “sotto casa”. «Il lavoro di questi anni, gli arresti, le indagini hanno contribuito a fare terra bruciata intorno a lui» spiega il magistrato. La rete di alleanze e di collaborazioni, insomma, si sarebbe via via assottigliata, “costringendo” il boss a riparare nel suo territorio, dove era più protetto e poteva anche esporsi, per farsi curare. L’arresto, aggiunge poi Guido, è una vittoria di tutto lo Stato. «Non credo però – dice, rispondendo a una domanda sull’omertà – che abbia cambiato le coscienze. Ci riuscirà forse con il tempo, e con un lavoro di “ricucitura” con le istituzioni. Perché oggi la macchina “repressiva” dello Stato c’è e funziona. Quello che manca, in molti casi e territori, è la presenza dello Stato quando il cittadino ha bisogno. Ed è in questo spazio scoperto che le mafie fanno passi da gigante».

Del suo ruolo di magistrato dice, poi, che è appunto un ruolo. «Io non mi sento migliore delle persone che giudico. Perché, vedete, è anche una questione di lotteria biologica. Dove ti capita di nascere ha un’influenza. Il sostegno della famiglia, le condizioni di partenza non sono neutre. – spiega – è, quindi, un gioco di ruolo. Se comprendi questo, che senso ha da magistrato rivendicare un privilegio o violare le norme deontologiche?». C’è spazio, naturalmente, anche per i ricordi. Uno studente chiede quali siano stati i suoi riferimenti. «Mio padre, anche lui uomo di legge (è stato prefetto, ndr), ha costituto un grande esempio – racconta – E poi il mio liceo. È stato un laboratorio: con i miei amici e compagni condividevamo le stesse idee di giustizia e legalità. Questa scuola, che per me resta il liceo di via Molinella, me la sono sempre portata dentro. Qui ho avuto la fortuna di incontrare docenti che mi hanno offerto le giuste chiavi di lettura e spunti per riflettere e andare oltre».

(ha collaborato Paolo Orofino)

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