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Nelle motivazioni della condanna, la Corte ha descritto Isabella Internò come una donna dalla «personalità incline al delitto», capace di pianificare l’omicidio del calciatore Denis Bergamini.


COSENZA-  Isabella Internò, capace di una «fredda pianificazione di un omicidio», che insieme ad altre persone ignote, scrive il tribunale di Cosenza, «dopo avere narcotizzato Denis Bergamini, o comunque riducendone le capacità di difesa, ne cagionavano la morte. Asfissiandolo meccanicamente mediante uno strumento “soft” e ponendolo, già cadavere, sotto il camion condotto da Raffaele Pisano». Nelle motivazioni della sentenza i giudici hanno tracciato un quadro dettagliato e agghiacciante dell’omicidio del calciatore, Denis Donato Bergamini. Il calciatore del Cosenza venne ritrovato cadavere il 18 novembre del 1989, era sotto un camion lungo la statale 106 Ionica, a Roseto Capo Spulico. La sua morte fu attribuita in un primo tempo a suicidio, proprio per le dichiarazioni della Internò, che era con lui nel momento in cui si sarebbe “lanciato” sotto il camion.

Il 1 ottobre 2024, la Corte d’Assise di Cosenza, presieduta dal giudice Paola Lucente, a latere Marco Bilotta, ha condannato a 16 anni di reclusione Isabella Internò. Per lnternò accusata di omicidio volontario aggravato, le attenuanti generiche sono state prevalenti sulla contestata aggravante della premeditazione. Da qua il mancato ergastolo.

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NELLE MOTIVAZIONI DELLA CONDANNA A ISABELLA INTERNÒ LA CORTE EVIDENZIA «IL SUICIDIO FU UNA MESSINSCENA»

Adesso, ancor prima dei novanta giorni di tempo, nei giorni scorsi sono state depositate le motivazioni della sentenza. In oltre 500 pagine la corte spiega come quello di Bergamini sia stato un «omicidio» mentre il «suicidio fu soltanto una messinscena». Nelle pagine che restituiscono la verità alla famiglia Bergamini, viene evidenziata anche la figura della Internò, ex fidanzata del calciatore. La donna all’epoca dei fatti 20enne, è descritta come una persona dalla «personalità incline al delitto» e proveniente da un contesto familiare «deviato da retrogradi principi morali», avrebbe organizzato l’omicidio del calciatore a causa della fine della loro relazione. Per la Corte infatti quello di Denis Bergamini fu «un omicidio passionale, realizzato allo scopo di dare una lezione al calciatore».

Le prove raccolte durante il processo avrebbero dimostrato che Bergamini era già morto o agonizzante prima di essere investito dal camion. Testimonianze cruciali come quelle di Roberta Alleati e Tiziana Rota. Per la Corte il suicidio è «incompatibile con le risultanze investigative». In particolare, i giudici hanno evidenziato: l’assenza di un motivo valido per il suicidio: Bergamini era giovane, aveva successo e non mostrava segni di depressione. Le modalità atipiche della morte: la posizione del corpo e le lesioni riportate non sono compatibili con un gesto suicida. Le testimonianze contrastanti: le dichiarazioni della Internò sono state ritenute incoerenti e poco credibili.

La Corte ha chiesto inoltre, la trasmissione degli atti processuali alla Procura della Repubblica affinché proceda per il reato di falsa testimonianza nei confronti di alcuni familiari della Internò. La madre, la zia, per quattro cugini della donna e per il camionista Raffaele Pisano. La sentenza sulla morte di Denis Bergamini rappresenta la conclusione di un lungo e complesso processo giudiziario, durato oltre trent’anni.

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