La deposizione di un collaboratore di giustizia
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I primi verbali degli interrogatori del nuovo pentito Francesco Greco: intimidazioni a Cosenza e l’idea di uccidere il boss Roberto Porcaro
QUELLO che ha raccontato il nuovo pentito Francesco Greco al cospetto degli investigatori, che il primo agosto scorso lo hanno ascoltato per la prima volta, è confluito nei tre verbali che ieri i pm della Dda Corrado Cubellotti, Vito Valerio e Vincenzo Capomolla hanno chiesto di acquisire agli atti del processo “Reset”, in corso di svolgimento presso l’aula bunker di Catanzaro. Si parla di intimidazioni a Cosenza e dell’idea di uccidere il boss Roberto Porcaro.
«LA GENESI della mia attività criminale – ha raccontato Greco – risale al 2013/2014 allorché lavoravo con mio cugino nella sua ditta di costruzioni. Dopo questa prima fase di conoscenza ho iniziato a collaborare con Porcaro dedicandomi al compimento di attività illecite di diversa natura. Spaccio di sostanze stupefacenti, usura, danneggiamenti ed estorsioni. Con riferimento alle estorsioni, in particolare, mi occupavo del posizionamento delle bottigliette incendiarie presso i vari esercizi commerciali destinatari delle richieste estorsive».
IL NUOVO PENTITO DI COSENZA PUNTO IL DITO CONTRO L’EX COLLABORATORE ROBERTO PORCARO
Il nuovo pentito Greco accusa e tira, dunque, in ballo l’ormai ex collaboratore e boss dei clan di Cosenza Roberto Porcaro. E lo farà nel corso di tutti i successivi interrogatori spiegando, ad esempio, le modalità di esecuzione delle intimidazioni. «Roberto Porcaro mi accompagnava con la macchina e io posizionavo la bottiglietta – precisa -. Le bottigliette venivano preparate nel garage dell’abitazione del Porcaro e venivano utilizzati gli scooter per fare rifornimento di benzina. Inoltre, utilizzavamo un filo di ferro come gancio per la bottiglietta in modo da non lasciare impronte».
Gli avvertimenti da rivolgere a commercianti o imprenditori insolventi erano di diversi “livelli”, in un crescendo di segnali che andava dal posizionamento del liquido infiammabile all’incendio dell’autovettura fino a che, in assenza di risposta da parte della vittima, si passava ad atti molto più gravi: «Ricordo – confessa Greco – che Porcaro Roberto come indicazione generale ci diceva che avremmo dovuto avvicinare le vittime designate minacciandole con armi e con il volto travisato».
IL RAPPORTO E LE CONDOTTE CRIMINALI DI PORCARO
Il rapporto e le condotte criminali di Porcaro saranno, come accennato, il leit motiv delle sue confessioni. È al boss Porcaro – racconta il pentito – che spettava l’ultima parola su ogni azione delittuosa da compiere a Cosenza, dalle estorsioni alle – innumerevoli – richieste di pizzo, dai servizi di vigilanza fino agli omicidi. Fu proprio lui, non a caso, a ordinare l’uccisione di tale Pierino Perna, cugino di Marco, per vendicare la tentata gambizzazione ai danni di Salvatore Carbone, indicato da Greco quale uomo di fiducia di Mario Piromallo. L’incarico fu affidato a Massimiliano D’Elia, che avrebbe dovuto “colpirlo in pancia”.
Tuttavia quest’ultimo gli sparò all’altezza dei piedi e senza colpirlo, così come suggeritogli da Piromallo che contrario al proposito omicidiario, e suscitando la contrarietà di Porcaro. Da allora i rapporti tra i due, secondo quanto riferito dal collaboratore, si andarono via via raffreddando, e D’Elia si avvicinò a Mario Piromallo, Salvatore Ariello e Antonio Illuminato.
IL RETROSCENA DEL PENTITO E L’IDEA DI UCCIDERE PORCARO
L’acredine nei confronti di Porcaro si acuì al punto che D’Elia, nel 2019, chiese proprio a Greco di procurargli un “appuntamento”: «Su mia espressa richiesta se volesse parlargli – ricorda il pentito -, mi rispose invece che “voleva cacciare questo pensiero per tutti”, con ciò intendendo uccidere Roberto Porcaro, tendendogli un agguato, per conto di tutta l’associazione. Di questo episodio ne ho recentemente parlato, durante questa mia detenzione a commento del pentimento di Roberto Porcaro, con Alberto Superbo, detenuto nella mia stessa sezione. Lo stesso mi ha esternato la sua considerazione circa il fatto che non potesse essere un’iniziativa autonoma di D’Elia. Ma che sicuramente la decisione era stata assunta da Mario Piromallo, Salvatore Ariello e Antonio Illuminato».
IL BOSS PORCARO E LE ARMI
Un potere decisionale, quello di Porcaro, che iniziava a dar fastidio nell’ambiente criminale? Sta di fatto che, nel ritratto di Francesco Greco, emerge la figura di un boss senza scrupoli che, prendendo in prestito un’espressione di Francesco Patitucci, usava dire: «A Cosenza tutti devono pagare, anche gli uccelli che volano». E così era. Anche in merito alla disponibilità di armi, Greco svela che lo stesso Porcaro «mi ripeteva spesso di averne al punto da poter “fare una guerra”».
«Preciso che – va avanti Greco – all’interno dell’associazione ciascun gruppo e/o ciascun referente gestiva il proprio arsenale. Così, ad esempio, l’arsenale rinvenuto nel 2018 nel quartiere degli Zingari era, appunto, riconducibile agli Abbruzzese, per come mi fu direttamente confermato, tanto da Roberto Porcaro, tanto da Antonio Marotta». Greco riporta, inoltre, i diversi episodi in cui, tra il 2015 e il 2016, trafficò armi per conto di Porcaro, in particolare quello relativo alla consegna di un kalashnikov e delle relative cartucce ai Calabria, a ulteriore riprova della capacità della confederazione bruzia di stringere legami con i gruppi di ‘ndrangheta della costa tirrenica. E anche oltre.
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