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La Maserati di Denis Bergamini

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Processo Bergamini, Internò preoccupata per la Maserati

COSENZA – Le sue condizioni di salute non sono ottimali, la sua memoria vacilla, restituendo brandelli di ricordi. È così che si presenta ai giudici della Corte d’Assise Mario Infantino, titolare del bar-trattoria collocato sulla Statale, nei pressi di Roseto, dove Isabella Internò si reca per telefonare accompagnata da Mario Panunzio la sera del 18 novembre 1989. Ma non al punto da impedirgli di rispondere, comunque, alle domande del pm, Luca Primicerio, sui tragici fatti di quel giorno in cui Denis Bergamini perse la vita sulla 106.

L’uomo, con non poca difficoltà, prova a mettere in fila le fasi di quel drammatico pomeriggio, più volte contraddicendo la versione dei fatti rilasciata a suo tempo, nell’‘89, al brigadiere Barbuscio, ma la circostanza non stupisce se si tiene conto che è oggi ultraottantenne, presenta diversi acciacchi e che dall’accaduto sono trascorsi oltre 30 anni.

Le dichiarazioni rese in passato, infatti, sono coerenti tra loro e non presentano le inevitabili discrepanze odierne. Ragione per la quale si è convenuto di acquisire i verbali degli interrogatori precedenti ma di ammetterlo ugualmente a testimoniare.

Nel suo racconto narra che «verso le 17 arriva un signore con una ragazzina che piangeva (all’epoca indicò come orario le 19.30, ndr), all’inizio pensavo fosse drogata. La ragazzina, poteva avere 17, 18 anni, mi chiese i gettoni per telefonare e io gliene diedi 10. Poi chiese di andare in bagno e subito dopo arrivò il brigadiere Barbuscio a cercarla, la prese sotto braccio e la portò via».

Infantino dice di non ricordare quante telefonate fece la ragazza né a chi, tuttavia nell’‘89 le quantificò in “due o tre”. Né ricorda di aver mai dichiarato a Barbuscio di aver sentito Isabella dire che il suo ragazzo “si era ammazzato” e che il suo accompagnatore, un tipo “con accento del Nord”, fosse intervenuto confermando la morte di un giovane.

Terminato l’esame, è la parte relativa al controesame che si fa più avvincente. L’avvocato di parte civile Fabio Anselmo, infatti, rammenta di quando, nel 2017, i due ispettori di pg, Pugliese e Quintieri, si recarono in casa di Infantino chiedendo di parlare con sua moglie, Rosa Basile, la quale però si trovava a letto, malata. In quella circostanza il figlio Ciro, che quel giorno di novembre si trovava nel bar, riferì ai poliziotti che la ragazza si poggiò a una stufa dicendo ad alta voce “è morto, ma la Maserati l’ha lasciata a me”.

Ciò che Infantino ricorda in proposito è una tabula rasa, ed è per questo che Anselmo chiede di poter risentire i testi Pugliese e Quintieri insieme a Ciro Infantino, richiesta che però la Corte rigetta. A dire del legale di parte, invece, è proprio in quella frase che andrebbe ricercata la chiave della messa in scena perpetrata dalla Internò: una donna, a suo avviso, capace di fingersi disperata celando le sue vere preoccupazioni.

Nel corso dell’udienza, oltre ad acquisire le sit di Luigi Putignano e Salvatore De Paola, i due barellieri che asportarono il cadavere di Bergamini dal luogo dell’incidente, la Corte ha raccolto la testimonianza di Franca Giovanna Valerio, cognata di Rocco Napoli, l’autista del mezzo pesante transitato sul posto, la quale ha reso una versione dei fatti in palese disaccordo con quella del suo parente. Prossima udienza, il 2 febbraio.

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Fabio Grandinetti

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