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Marcello Manna

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RENDE – Non fu voto di scambio politico-mafioso, secondo il Tribunale del Riesame di Catanzaro. Anzi, l’accusa sarebbe smentita dagli atti d’indagine. «Io sto portando a Manna e Munno», l’intercettazione chiave che, secondo la Dda di Catanzaro, spiegherebbe il patto tra il clan D’Ambrosio – una delle sette famiglie di ‘ndrangheta della “confederazione” cosentina sgominata con la maxi operazione “Reset” il primo settembre scorso – e il sindaco di Rende, Marcello Manna, noto avvocato penalista e presidente dell’Anci della Calabria, è, secondo il collegio presieduto da Filippo D’Aragona, una frase «totalmente priva di contesto».

Si conoscono le motivazioni per le quali sono stati revocati gli arresti domiciliari, misura cautelare alla quale era stato sottoposto appunto con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso, al sindaco Manna, che comunque si ritrova nuovamente sospeso (e al divieto di dimora nel Comune) in seguito a una successiva inchiesta, questa volta della Procura di Cosenza, che avrebbe fatto luce su un presunto sistema di corruzione, frodi e turbative ruotante attorno all’ente da lui amministrato. Insieme a Marcello Manna ai domiciliari era stato posto anche l’ex assessore ai Lavori pubblici del Comune di Rende Pino Munno.

A pronunciare quella frase, captata nel maggio di tre anni fa, sarebbe stato uno degli esponenti apicali del clan, Massimo D’Ambrosio. Munno e Manna, in particolare, secondo la ricostruzione della Dda guidata dal procuratore Nicola Gratteri e avvalorata dal gip distrettuale Andrea Ferraro, «in cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal gruppo ‘ndranghetista, relativamente ai rispettivi ruoli pubblici, avrebbero favorito la sotto-articolazione Gruppo D’Ambrosio, mediante l’aggiudicazione di gare (in primis l’affare del “palazzetto”) assicurando un perpetuo trattamento di favore comprensivo di lavori di urbanistica e di favoritismi lavorativi, nonché una serie di utilità (date/promesse) che determinavano i D’Ambrosio a rinunciare ai classici 100 euro per voto».

Gli elementi raccolti dagli inquirenti, invece, secondo Riesame, «presentano una valenza indiziaria non univoca in quanto, da un lato – è detto nel provvedimento – vi sono conversazioni che inducono a ritenere che D’Ambrosio avesse interesse alla sola elezione di Munno e un disinteresse rispetto a colui che sarebbe stato scelto come sindaco, dall’altro – è detto ancora – i dati fattuali indicativi di un rapporto tra Manna e D’Ambrosio sono plurivoci in quanto potrebbero essere rivelatori semplicemente di aspettative da parte di D’Ambrosio circa determinati vantaggi che avrebbe potuto ottenere da Manna senza però che quest’ultimo si fosse obbligato per farglieli conseguire».

Insomma, «non sono emersi fattori specifici da cui si possa dedurre che D’Ambrosio si fosse impegnato per far confluire voti elettorali a favore di Manna». Ecco perché il Riesame ritiene che la condotta addebitata a Marcello Manna non sia «sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 416 ter c.p. difettando, allo stato, qualsivoglia elemento su cui fondare la partecipazione del ricorrente a tale specifico accordo illecito». E riscontra «addirittura elementi contrari alla sussistenza di tale sinallagma». E comunque «allo stato» sono «insussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al reato di scambio elettorale politico-mafioso».

Le conversazioni valorizzate dal gip tutt’al più dimostrerebbero, ad avviso del Riesame, «un effettivo avvicinamento dei D’Ambrosio a Manna ma non assurgono a gravi indizi della commissione del delitto contestato in assenza di elementi da cui desumere l’intervenuto scambio delle promesse».

Ma perché emergerebbero addirittura elementi contrari all’ipotesi di voto di scambio a carico di Manna? Perché l’intento di D’Ambrosio sarebbe quello di «assicurare voti in favore di Munno e non anche di Manna arrivando finanche ad affermare di disinteressarsi del soggetto che sarebbe stato eletto come sindaco». «Gli ho detto “va beh a noi che ce ne frega che a sindaco vota a De Rose… come consigliere Pinuzzo può stare tranquillo che glielo daranno a loro che io lo so», direbbe D’Ambrosio, a un certo punto. Il riferimento sarebbe a un altro candidato a sindaco, Massimiliano Derose, estraneo all’inchiesta.

Insomma, dall’analisi delle intercettazioni, sempre secondo il Riesame, emerge che «D’Ambrosio auspicava la vittoria di Manna unicamente al fine di vedere rafforzato il ruolo di Munno all’interno della compagine comunale». Tanto più che lo stesso D’Ambrosio «condivideva pareri negativi sulla figura di Manna introducendo valutazioni circa l’ipotesi di elezione a sindaco di un altro candidato».

La frase “presenta un progetto”, attribuita da D’Ambrosio a Manna? «Un dato neutro, posto che la presentazione di un progetto nel corso di una gara d’appalto appare quantomeno elemento non distonico con la regolare procedura», osservano i giudici. Incassa con ovvia soddisfazione Manna per il quale «si è attestata la mia estraneità ai fatti in fase cautelare – dice – L’augurio – auspica – è che ora tale vicenda possa trovare conclusione definitiva al più presto e si ripristini finalmente l’ordine delle cose».

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