Il corpo di Bergamini sull'asfalto della Ss 106 il 18 novembre del 1989
4 minuti per la letturaCOSENZA – Uno degli aspetti del caso Bergamini ritenuti più misteriosi, forse il più misterioso, rimanda alla dinamica dei tragici eventi di Roseto Capo Spulico del 18 novembre 1989. Da anni, infatti, i seguaci della tesi del complotto omicida evidenziano a spron battuto l’impossibilità che l’impatto con un camion delle dimensioni di quello guidato da Raffaele Pisano, lasci sulla vittima solo i segni determinati dalla ruota dell’automezzo.
E invece è ciò che sarebbe avvenuto: non un osso rotto, non una ferita significativa refertata su altre parti del cadavere del calciatore, compreso il volto rimasto pressoché intatto, tutti elementi che stridono anche con il dato di un corpo che si vuole trascinato sull’asfalto per almeno 49 metri.
Ecco, la dinamica di ciò che accade quella sera è, a ben vedere, la cifra stessa del mistero per gli inquirenti di oggi. Non lo era, però, per quelli del 1989, che a loro disposizione avevano una perizia redatta da Pasquale Coscarelli, esperto in infortunistica stradale e consulente tecnico nominato dall’allora pm Ottavio Abbate. Si tratta di un atto poco appariscente dal punto di vista mediatico, ma forse determinante per la comprensione dei fatti.
Coscarelli, infatti, si reca sul luogo dell’incidente il 28 novembre, dieci giorni dopo, per documentare lo stato dei luoghi e, aiutandosi con le foto scattate nell’immediatezza, avanza una possibile ricostruzione di ciò che accadde al km 401 della Strada statale 106.
A suo avviso, Bergamini è «in posizione eretta» quando gli piomba addosso il pesante automezzo che procede a una velocità molto ridotta – fra 30 e 35 km all’ora – e in fase di ulteriore decelerazione. Proprio il moto lento del camion fa sì, secondo il perito, che non si verifichino le conseguenze tipiche di un investimento, con il corpo abbattuto al suolo o sbalzato in avanti.
Nulla di tutto ciò invece, con il povero Bergamini che viene letteralmente sollevato da terra, caricato sulla parte frontale del camion e sospinto in avanti «senza proiezione o lancio balistico». A quel punto, però, Pisano ha già il piede sul freno, e così dopo pochi metri – 15 o 18 al massimo – riesce ad arrestare la marcia, è a quel punto che il corpo di Bergamini viene rilasciato al suolo, proprio mentre la ruota anteriore destra compie un mezzo giro in avanti e gli schiaccia l’addome. Tutto si sarebbe consumato nel giro di due secondi, al massimo tre.
«Poteva addirittura salvarsi, poteva anche salvarsi» dirà due anni con tono di rimpianto Antonino Mirabile, pretore nel processo per omicidio colposo contro Raffaele Pisano. Sì, avrebbe potuto, ma purtroppo il destino aveva in serbo un finale diverso. Secondo il perito, dunque, sì spiega così il «sormontamento parziale di un corpo disteso sull’asfalto», e non certo perché quel corpo fosse a terra in quanto già privo di vita. E non solo.
All’epoca, Coscarelli risolve anche l’enigma trascinamento sì, trascinamento no. La risposta è che non vi fu alcun trascinamento. Questo è solo un equivoco generato a caldo da un errore veniale del brigadiere Francesco Barbuscio, che quella sera esegue i primi rilievi del caso su una scena già inquinata, al buio e sotto la pioggia.
Il carabiniere nota sull’asfalto una frenata di 49 metri e l’attribuisce all’incidente appena avvenuto, poi alcune ore più tardi va in caserma con il camionista e compila il suo primo verbale di sommarie informazioni, quello in cui l’allora cinquantenne rosarnese dichiara di aver trascinato il corpo di Denis.
«Mi sono conformato a quello che diceva il brigadiere» spiegherà in seguito Pisano, ma quella strisciata non presenta tracce di sangue, solo di pneumatico. Impossibile che abbia a che fare con la tragedia, Coscarelli lo rappresenta a Barbuscio che, correttamente, conviene e mette a verbale: «Frenata di attribuzione dubbia».
Nel 1991, durante il già citato processo contro Pisano, il consulente di Abbate tornerà poi sul capitolo posizione del corpo: Bergamini era ancora in piedi o già disteso al suolo? La domanda gliela pone proprio in questi termini il difensore del camionista, l’avvocato Giacomo Saccomano, ai tempi in cui nessuno fra giudici, pubblici ministeri e avvocati (anche quelli di parte civile) pensa anche lontanamente che possa essersi trattato di un omicidio.
E quindi Bergamini era già a terra o in posizione eretta? Coscarelli non ha dubbi: era certamente in piedi perché in caso contrario Pisano «non lo avrebbe avvistato in tempo», «non avrebbe avuto la reazione istintiva di frenare e di evitare un investimento», non ne avrebbe avuto «lo spazio né il tempo», morale della favola: «Lo avrebbe travolto». Trent’anni dopo arriverà la medicina legale della dottoressa Carmela Buonomo a mettere in discussione la logica, ma questa è un’altra storia.
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