L'avvocato Fabio Anselmo
3 minuti per la letturaCOSENZA – Il Covid fa capolino sulla scena del processo Bergamini, rallentando così le operazioni in aula. Lo aveva fatto già una volta, a scapito di qualche giudice popolare, ma oggi la storia si è ripetuta.
A essere contagiato, stavolta, è stato l’avvocato Fabio Anselmo, patron di parte civile, e dato che tutti i suoi collaboratori sono finiti in quarantena, nell’impossibilità di nominare sostituti processuali, ieri mattina il legale ferrarese ha inviato in extremis alla Corte d’assise una richiesta di rinvio dell’udienza per legittimo impedimento.
Stamane i giudici avrebbero dovuto decidere se accogliere o meno l’istanza, e considerato che la presenza in aula della parte civile non è considerata vincolante, l’esito non era poi così scontato. Si è optato poi per un rinvio, ma la singolarità di questa vicenda è che anche in caso di parere contrario dei giudici, la seduta sarebbe saltata lo stesso.
Questo perché, sempre nel pomeriggio di mercoledì, la Procura di Castrovillari ha contattato telefonicamente i testimoni in scaletta, comunicando loro di non presentarsi in aula. «Visto che sono persone un po’ in avanti con l’età», si è giustificato il pubblico ministero d’udienza che, evidentemente, dava per scontato l’esito della querelle.
In tutto ciò la difesa di Isabella Internò ha lamentato di non essere stata messa al corrente delle manovre in atto, ma di averlo appreso solo a babbo morto. In aula non c’erano gli avvocati Angelo Pugliese né Rossana Cribari, messi fuori gioco da impedimenti di natura privata e professionale, ciò nonostante da parte loro non era arrivata alcuna richiesta di rinvio dell’udienza. Pronti a dare battaglia fra i banchi c’erano i loro sostituti Giuseppe Lanzino e Pasquale Marzocchi, e proprio loro hanno rilevato «l’irritualità» delle fasi che hanno portato al rinvio, pretendendo che le loro osservazioni fossero messe a verbale.
È finita lì, senza strascichi ulteriori perché il presidente Paola Lucente ha chiuso la questione, annullando anche l’udienza in programma domani per dare appuntamento a tutti il prossimo 9 maggio. Covid permettendo. Quel giorno, dunque, saranno sentiti i testimoni rimasti in sospeso, tre dei quali ritenuti molto importanti dalla parte civile. Non a caso, le persone convocate in aula da Anselmo dovrebbero introdurre il tema dei «depistaggi» che per l’avvocato della famiglia Bergamini incombono su questa storia.
Il dottor Antonio Raimondi è il medico dell’ospedale di Trebisacce che il 18 novembre del 1989 esegue la ricognizione cadaverica sul corpo di Denis alla presenza dell’allora pm Ottavio Abbate e di un ausiliario dei carabinieri. Nel referto, breve e conciso, parla di «politraumatismi alle parti molli e alle ossa in diverse parti del corpo» e dietro queste parole, messe nero su bianco e in apparenza neutre, secondo Anselmo si cela un depistaggio. Va da sé che, sentito nel 2017 durante le indagini, Raimondi smentisca di aver eseguito quell’accertamento medico legale e di essersi limitato solo a «un’ispezione visiva» del cadavere. Perché nega? Sarà lui stesso a fare chiarezza in aula. Dopo di lui arriverà il momento dei carabinieri del Gruppo Z, così ribattezzati nel 2012 da Donata Bergamini. Confezionano loro l’informativa quando a guidare l’inchiesta c’è Franco Giacomantonio, ed è un documento matrice rispetto a quello che sette anni dopo produrrà l’ispettore Ornella Quintieri.
Non a caso è in quelle pagine che si parla per la prima volta di delitto d’onore e di un Bergamini soffocato e vittima di una cospirazione familiare, tesi all’epoca bollate dal procuratore e dal gip come «mere congetture autoreferenziali», ma che oggi, invece, rappresentano la cifra del processo in corso. Fatto sta che nel 2014, una volta completata l’informativa, il cosiddetto Gruppo Z chiede di operare ulteriori intercettazioni e raccogliere altre testimonianze, ma per Giacomantonio, già orientato ad archiviare l’inchiesta, può bastare così.
Nei giorni successivi, la rete e gli organi d’informazione interpretano così la notizia: «Trasferiti i carabinieri che indagano sul caso Bergamini». Ora se andò davvero così, lo sapremo fra qualche giorno dalla viva voce dei diretti interessati. Gruppo Z a parte, fra i testimoni non ci sarà più un carabiniere in pensione, Iconio Bagnato, che nel 1989 guidava la stazione di Rocca Imperiale. Purtroppo, è deceduto nei giorni scorsi.
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