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Pierpaolo Bruni

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PAOLA (COSENZA) – Il Tribunale di Salerno ha condannato un pericoloso ‘ndranghetista crotonese a 3 anni di reclusione, al pagamento dello spese processuali e al risarcimento del danno alla parte civile, per minacce rivolte all’allora sostituto della Procura di Crotone, oggi procuratore capo a Paola, Pierpaolo Bruni. Reato, quello di minacce, poi assorbito dalla ipotesi di cui all’art. 343: “oltraggio a un magistrato in udienza”.

Lunga e pericolosa, com’è noto, è la sequela di gravi minacce al magistrato, che da tempo vive sotto scorta perché – come disse il collaboratore di giustizia Angelo Cortese, “il dottore Bruni è a rischio di vita assoluta”. Ma andiamo con ordine, percorrendo fatti e circostanze salienti che negli ultimi decenni hanno visto vittima il magistrato calabrese.

MINACCE DI MORTE

“Pierpaolo Bruni… ahahah… tu per noi sarai na muschiddra… tutto questione di tempo… a presto tu sarai raccolto con un cucchiaino… di te rimarranno solo le ceneri… Insieme ai tuoi carissimi pentiti Bumbaca e Marino”. Il messaggio nel quale si minacciava di morte l’allora sostituto della procura di Crotone, era stato fatto pervenire sul sito on line di un giornale nel febbraio del 2010. Le minacce erano contenute in un commento postato da un anonimo a commento di un articolo nel quale si dava notizia della confisca dei beni disposta dal Tribunale di Crotone nei confronti di due esponenti di spicco delle cosche locali, coinvolti nell’indagine della Dda contro la criminalità organizzata del crotonese denominata ‘Heracles’. Nell’articolo si faceva riferimento anche alle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia al pm Bruni.

TRE EPISODI INQUETANTI

Qualche settimana prima dell’episodio sopra narrato, ignoti malviventi avevano manomesso l’autovettura utilizzata dal padre di Pierpaolo Bruni, alla quale era stato reciso il tubo della benzina, probabilmente con l’intento di provocare un incendio. Mentre in un’altra circostanza sul sellino del suo acquascooter, custodito in una rimessa per imbarcazioni, il magistrato aveva trovato due scatole vuote per pistole. E ancora: nei pressi della sua abitazione, sottoposta a sorveglianza continua, una sera sono stati bloccati due individui camuffati con sciarpe e cappelli; all’arrivo di agenti della squadra Mobile di scorta al magistrato, i due uomini non hanno saputo giustificare la loro presenza in quel luogo. Anche questo episodio è finito, insieme a tanti altri, in un corposo elenco trasmesso dalla Procura della Repubblica di Crotone a quella di Salerno, competente a indagare sulle vicende che riguardano i magistrati del circondario crotonese, e oggetto di interrogazioni parlamentari.

L’ATTENTATO PIANIFICATO A TAVOLINO

Nel gennaio del 2011, invece, affiliati alle cosche Vrenna-Ciampà-Bonaventura finiti arrestati assieme ad una dozzina di ‘ndranghetisti nell’ambito di un blitz, avrebbero pianificato di far fuori Bruni, allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, ritenuto responsabile di aver fatto pentire il boss Pino Vrenna, un pezzo da novanta della ‘ndrangheta di Crotone. Gli “uomini d’onore” avrebbero pagato un killer professionista che sarebbe dovuto arrivare da fuori Crotone per uccidere il magistrato. Lo pedinavano nonostante fosse scortato e stavano organizzando una colletta per raccogliere i soldi da dare al sicario. Un “regalo” che i malavitosi scoperti dalla Dda avrebbero voluto fare al boss Pino Vrenna.

L’ALLARME LANCIATO DAL PENTITO

Un “pentito” svelò il piano della ‘ndrangheta di voler eliminare il magistrato: «Il dott. Bruni è a rischio di vita assoluta», raccontò il collaboratore di giustizia Angelo Cortese, ex affiliato ad una cosca di Cutro, nel corso di un interrogatorio. «Abbiamo a disposizione molte armi, sia bazooka che esplosivo, in quanto il dottor Bruni è una persona che non cammina così, libero. Cammina con la scorta, con la macchina blindata. Quindi si parlava di fare un attentato perché si colpisse la macchina blindata», aggiunse il pentito. E ancora: “Si potrebbe usare anche dell’esplosivo sia nell’abitazione sia durante un processo a Catanzaro, oppure nel tragitto. Si potrebbe colpire anche con un fucile di precisione durante uno spostamento mentre arriva in un tribunale, in un’udienza. Mezzi e armi ci sono e gli uomini anche”.

PROGETTATO UN ATTENTATO SULLA SS107

Nel novembre del 2014 un detenuto svela: “Le cosche della ‘ndrangheta hanno progettato un attentato contro il Pm della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni”. La notizia è stata fornita da un detenuto ad un funzionario della polizia penitenziaria. L’attentato sarebbe dovuto avvenire lungo la strada statale 107. L’uomo era informato sull’auto e gli spostamenti abituali di Bruni”. Il disegno criminale era stato progettato da consorterie mafiose crotonesi e cosentine e, forse, anche quelle lametine. Insomma, Bruni doveva morire.

Da Catanzaro a Crotone, fino a Paola, sul Tirreno cosentino, dove Pierpaolo Bruni riveste il ruolo di procuratore capo, sono cambiati i personaggi dell’“onorata società”, ma la musica è rimasta la stessa.

MINACCE DAL DETENUTO ANCHE SUL TIRRENO

Nuove gravi minacce a suo danno questa volta riguardano il processo anticrimine “Tonno Rosso”, che alcuni mesi fa, presso il Tribunale di Paola, ha fatto registrare tre condanne e un rinvio a giudizio a carico dei componenti di una banda di “pirati” che consumava estorsioni aggravate contro gli equipaggi dei pescherecci del Sud Italia, operativi nelle acque del mare che bagnano la costa cetrarese. Andando ai fatti, alcuni mesi addietro, un sorvegliato speciale finito in cella nell’ambito di “Tonno Rosso” è stato intercettato in carcere mentre, dialogando con la moglie, prometteva ritorsioni a danno del magistrato calabrese, paventando anche l’idea di organizzare un’azione di delegittimazione contro lo stesso Bruni non appena sarebbe uscito dal carcere.

Fatti e riscontri di questo ennesimo grave episodio a danno del magistrato, sono ora cristallizzati in una informativa di Polizia giudiziaria. Il detenuto e la moglie sono stati incastrati da una “cimice” e da una micro-telecamera nascosta, installate in carcere a Paola. L’uomo, cetrarese, considerato un pericoloso criminale vicino alla cosca di ‘ndrangheta del Tirreno ed ora condannato anche nell’ambito di “Tonno Rosso”, era stato già ritenuto colpevole e condannato in via definitiva già nell’ambito del processo “Tramontana”, istruito dallo stesso Procuratore Bruni quando era in servizio all’Antimafia di Catanzaro. Un maxi processo, quest’ultimo, che portò alla sbarra 117 soggetti accusati di aver fatto parte delle principali cosche mafiose del crotonese.

MINACCE DI DELEGITTIMAZIONE DALLA MASSONERIA DEVIATA

Altre minacce e propositi di delegittimazione a danno del Procuratore Bruni emergono anche da intercettazioni a carico del presunto capo di una loggia massonica segreta ed un indagato eccellente nell’ambito della recente inchiesta contro l’associazione a delinquere messa in piedi sulla costa tirrenica cosentina da ingegneri, architetti e politici, specializzati nella lottizzazione degli incarichi pubblici. Una quindicina di persone finite nella rete della Procura paolana per aver costituito un “cartello” di professionisti amici per spartire appalti e denaro. I due indagati, parlando tra loro, sono stati ascoltati dagli specialisti della Guardia di Finanza mentre tramavano contro il magistrato, sotto scorta da anni perché finito nel mirino delle cosche di ‘ndrangheta calabresi che volevano ucciderlo con l’impiego di un bazooka.

“Vuole arrestare tutti i politici del Tirreno questo pezzo di merda”, è il succo della intercettazione finita negli atti del blitz eseguito l’altro ieri in vari Comuni dell’Alto tirreno cosentino e in Basilicata. E i due indagati eccellenti, tra un impropero e l’altro, hanno iniziato a ragionare su un presunto piano di delegittimazione da far recapitare al Consiglio superiore della Magistratura contro Pierpaolo Bruni per levarselo dai piedi, per ottenerne il trasferimento. E non solo. I due, riferendosi al servizio di scorta che tutela l’incolumità del magistrato, si sono spinti pure ad elaborare un ragionamento pericoloso e subdolo, che lascia trasparire – intercettazioni alla mano – una situazione di forte pericolo per il Procuratore capo. “Scorta o non scorta – è il ragionamento ascoltato dalle Fiamme Gialle e riportato agli atti – non preoccuparti che non c’è scorta che tiene”, è sempre il senso del botta e risposta.

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