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Momento di relax per i giocatori del Cosenza: da sinistra Galeazzi, Montrone, Giovannelli, Bergamini, Urban, Lombardo e Lucchetti

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COSENZA – Il suo tiro dal limite che si stampa sul palo durante la partita contro l’Udinese è un ricordo ancora  vivo negli occhi di tutti i tifosi perché su quel gol mancato resiste, trentadue anni dopo, il mito della promozione in serie A sfumata al fotofinish. Il nome di Claudio Lombardo, testimone del giorno al processo Bergamini, è associato  a quel montante che, dicono i  nostalgici, «ancora trema», ma per Cosenza sportiva rappresenta molto di più. «Nervoso e scattante» lo definiva compiaciuto Gianni Di Marzio, il mister, che non a caso ne aveva fatto un atleta multiruolo: terzino goleador – destro o sinistro per lui fa lo stesso – ma anche centrale di difesa, giocava bene pur in mezzo al campo e persino in attacco, tant’è che – per gli amanti delle statistiche – in cinque anni di permanenza in Calabria ha indossato tutte le maglie della squadra, quando i numeri andavano ancora dal due all’undici.

Tanto eclettico era in campo il Lombardo di nome e di nascita (è originario di Voghera) quanto rigido e tutto d’un pezzo si è mostrato ieri nel ruolo per lui inedito di testimone. Davanti ai giudici, infatti, misura i toni, pesa ogni singola parola, ripercorre vecchie e nuove dichiarazioni precisando qui è là: «Questo non ricordavo di averlo detto» e «Qui forse ho esagerato un po’».

Non vuole rendere falsa testimonianza. Se ne guarda bene, lui che di Denis era amico vero. Un partito, quello degli amici, al quale dopo la sua morte si iscriveranno in tanti, ma che all’epoca è circoscritto al portiere Gigi Simoni, all’allenatore in seconda Toni Ferroni. È lo stesso Bergamini, nel suo ultimo giorno di vita, a fare questo elenco al massaggiatore Beppe Maltese, un altro incluso nella lista.

E poi lui, Claudio Lombardo. Anche per questo, la sua testimonianza, ieri, rivestiva particolare importanza. Con Denis parlavano spesso «dei piaceri della vita» o dei progetti calcistici, ma poco o nulla su dettagli intimi e personali del biondo centrocampista perché lui «era schivo». Isabella Internò la conosceva bene, e il suo rapporto con Denis lo definisce prima «felice» poi «tormentato». Un giorno apprende che i due si sono lasciati, ma aggiunge che secondo lui l’amico «non l’aveva dimenticata». Quando i magistrati lo sentono per la prima volta nel 1989, dodici giorni dopo la tragedia di Roseto, dispensa loro un aneddoto: «Denis soffriva per una precedente relazione avuta da Isa. Una volta mi disse, non sai quanto mi dia fastidio che sia stata con qualcun altro prima di me».

Quindi era «geloso» dedurrà in seguito l’avvocato Rossana Cribari dal fronte della difesa, incontrando però l’opposizione di Luca Primicerio: «Ha parlato di fastidio» preciserà il pubblico ministero, giacché quello della gelosa, per giunta ossessiva e anche un po’ assassina, è un ruolo assegnato in esclusiva alla Internò.

Il punto è che di tutto questo Lombardo non sa nulla, al contrario di tanti altri ex compagni di squadra che, dal 2010 in poi, sul tema si mostrano molto beninformati. Claudio, l’amico di Denis, ignora perché la coppia sia poi scoppiata, e non sa nulla neanche dell’aborto di Isabella, a differenza di un Galeazzi qualsiasi che invece – ma solo dal 2018 – sostiene di averlo appreso in tempo reale dal diretto interessato. E non solo. Non ha mai sentito parlare di Roberta Alleati, la fidanzata segreta e promessa sposa, né delle altre donne che, in questi anni, si sono presentate come depositarie di brandelli di confidenze ricevute dal calciatore. Nei suoi ricordi, per quello che vale, per Denis c’era solo Isabella. Primicerio ha provato a farlo scivolare facendo riferimento a due ragazze che, nella Cosenza degli anni Ottanta, erano solite concedersi ai calciatori che, per l’occasione, le avevano ribattezzate «le sorelle Cornacchia», argomento accolto con una certa contrarietà dal presidente della Corte, Paola Lucente: «Erano due prostitute?». Non se n’è capito il motivo, sia del soprannome che di tutto il resto.

L’altro ostacolo era un’intercettazione fra lui e Simoni durante la quale quest’ultimo parla a ruota libera di omicidio collegandolo all’aborto e alla famiglia Internò. In quel colloquio Lombardo sembra dar corda all’interlocutore, ma una volta in aula messo davanti a quelle parole rubate al telefono, non ne ricorda il senso. Primicerio e il legale di parte civile, Fabio Anselmo, tentano in tutti i modi di stimolarne la memoria: leggono e rileggono quella trascrizione, addirittura gli fanno ascoltare la registrazione. Alla fine il testimone conviene sulla possibilità di aver espresso una sua opinione influenzata anche «da situazioni mediatiche». Un’ammissione non da poco, visti i tempi.

Prima di lui sul banco dei testimoni aveva preso posto Massimo Storgato, difensore scuola Juve transitato anche da Cosenza nella stagione calcistica 89/90, l’ultima di Denis. Acquistato al mercato di riparazione, in quel mese di novembre era aggregato alla squadra solo da due settimane e dopo la trasferta di Monza offrì un passaggio in auto a Denis per fare rientro in Calabria. Pochi e sfumati i suoi ricordi relativi a quel viaggio, con un dettaglio però che gli è rimasto impresso da allora: «Mi disse che aveva avuto un rapporto sentimentale con una ragazza cosentina, ma che era finito. E poi che pensava di investire i soldi guadagnati grazie al calcio nell’attività di famiglia, un allevamento di maiali». Prossime udienze il 28 e 29 marzo.

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