Donato Bergamini in azione con la maglia del Cosenza
5 minuti per la letturaCOSENZA – La famiglia Internò era a conoscenza dell’aborto di Isabella. E voleva che Bergamini sposasse la ragazza. «Denis mi disse: il figlio lo riconosco, ma lei non la sposo».
A raccogliere queste confidenze, dalla viva voce dell’allora calciatore del Cosenza, sarebbe stato il suo compagno di squadra Sergio Galeazzi, sentito ieri come testimone nel processo che mira a dimostrare ciò che per trentadue anni non è stato possibile dimostrare: che l’investimento di Bergamini avvenuto il 18 novembre del 1989 non sia stato un suicidio, bensì un omicidio, e che a commetterlo – in concorso con ignoti – sia stata proprio Isabella Internò, la sua fidanzata dell’epoca.
«Ex fidanzata» ha ribadito Galeazzi riprendendo un tema sul quale, dal 2010 in poi, in molti si mostrano beninformati: il rapporto tra Isabella e Denis interrotto «per volontà di quest’ultimo». Perché? «Perché lei era troppo gelosa e ossessiva». Com’è noto, dichiarazioni di questo tenore hanno iniziato a fiorire dodici anni fa, epoca in cui il difensore della famiglia Bergamini, Eugenio Gallerani, costruiva il dossier per ottenere la riapertura dell’inchiesta.
È proprio lui il primo a sentire Galeazzi a sommarie informazioni dato che, nel 1989, i magistrati che si occupano del caso non ritengono utile raccogliere le sue dichiarazioni. E così vent’anni più tardi a Gallerani, l’ex compagno di reparto di Bergamini – erano entrambi centrocampisti – racconta delle due ombre che avrebbero atteso Denis fuori dal cinema “Garden”, preludio alla sua fuga dal ritiro della squadra e poi alla tragedia di Roseto, cento km più a nord; racconta anche dell’aborto di Isabella, circostanza che due anni prima di morire, nell’estate del 1987, Bergamini avrebbe confidato solo a lui in esclusiva. Ieri, però, ha aggiunto qualcosa in più. Qualcosa di significativo peraltro già anticipato nel 2018 all’allora procuratore Eugenio Facciolla. Si tratta di una minaccia larvata che qualcuno della famiglia Internò avrebbe indirizzato a Bergamini: «Sposala, altrimenti finisce male».
L’amico glielo avrebbe confidato sempre nell’estate del 1987, al ritorno dal viaggio in Inghilterra organizzato proprio per porre fine alla gravidanza della ragazza. Per la Procura di Castrovillari è la pistola fumante. L’ipotesi d’accusa, infatti, vuole la Internò furiosa, in quell’autunno del 1989 per la fine del suo rapporto con il calciatore, e per vendicarsi la ragazza avrebbe informato i genitori di quella gravidanza interrotta in modo prematuro attribuendone però le colpe al calciatore. Indizi a supporto di questa tesi? Galeazzi, anche se dal suo racconto si deduce che la famiglia di Isabella fosse a conoscenza dell’aborto già nell’immediatezza.
E che quindi abbia atteso due anni prima di far sì che quella storia finisse «male». Bergamini, dunque, sarebbe stato minacciato, ma perché Galeazzi se ne ricorda solo trent’anni dopo? «C’erano tante cose da dire, probabile che questa mi sia sfuggita» si è giustificato lui. Al riguardo, non dice nulla a Gallerani né all’allora procuratore Franco Giacomantonio nel 2012. «Forse perché nessuno glielo ha chiesto» suggeriscono il nuovo patrono di parte civile, Fabio Anselmo, e il pm Luca Primicerio, colui il quale ha raccolto l’eredità di Facciolla, sposandone appieno le tesi.
Fatto sta che proprio sulla tardività delle affermazioni di Galeazzi ha ruotato un po’ tutto il controesame dei difensori Angelo Pugliese e Pasquale Marzocchi, sostituto processuale di Rossana Cribari. Con ulteriori precisazioni in merito al Galeazzi pensiero. I due Mister X che attendevano la vittima fuori dalla sala? «Potevano essere anche le maschere del cinema» ha ammesso il testimone. E ha fatto bene, dato che il capitolo Ombre nel Garden, vero e proprio tormentone dello scorso decennio, si era poi sgonfiato quando le vecchie indagini hanno accertato che quel giorno Bergamini uscì effettivamente da solo dal cinema, senza che nessuno lo portasse via con la forza.
C’è dell’altro però che Galeazzi, oggi 57enne, ha dichiarato nel corso nel tempo. Anche lui era fra le cento persone intercettate dagli investigatori fra il 2017 e il 2019. E in diverse conversazioni telefoniche, con amici e giornalisti, racconta un po’ a tutti questa storia: «Lo hanno portato a Roseto – Bergamini, ndr – perché lì c’era un carabiniere imparentato con l’attuale marito della Internò». Dalle indagini, vecchie e nuove, non è mai emersa una circostanza del genere. Una bufala insomma, ma che in aula non è passata come tale. Il diretto interessato, infatti, si è limitato a dire di non ricordare da chi avesse avuto quell’informazione.
Si è proceduto così per almeno sei ore a partire dalle 9,30 del mattino, prima che il pallino andasse in mano agli due testimoni di giornata. Amelia Bargone era una conoscente di Donato Bergamini. Entra in scena anche lei dal 2010 in poi per disquisire sulla «gelosia» dell’allora diciottenne Isabella che, a suo dire, quando vedeva Denis parlare con altre ragazze nella piazza di Commenda, ritrovo abituale dei calciatori, era solita intromettersi e richiamarlo a sé. Lo avrebbe fatto pure con lei in alcune occasioni e, una volta, addirittura, affiancandosi con la propria auto a quella della Bargone, l’avrebbe apostrofata con un epiteto. Angelina Fusinato, che in quella piazzetta gestiva un’edicola, ha ricordato invece la semplicità di Bergamini, da lei definito «un ragazzo di campagna», dall’indole bonaria e «un po’ ingenua».
Anche a lei Denis avrebbe confidato di aver lasciato Isabella perché stanco della sua «invadenza» determinata – ca va sans dire – dalla «gelosia». Sia lei che l’altra testimone seguono da anni la vicenda giudiziaria attraverso i social, iscritte entrambe alla pagina Facebook Verità per Denis, con la Bargone che più della Fusinato, partecipa attivamente alle iniziative e alle manifestazioni pubbliche del gruppo. La radice comune delle due testimonianze è stata evidenziata sia dalla parte civile che dalla difesa, con finalità ovviamente molto diverse. E a proposito delle parti: non sono mancate le scintille in aula, con la difesa che lamentava le continue interruzioni al suo controesame. Toni più elevati di qualche decibel hanno fatto da contorno sonoro all’udienza, lunga ed estenuante, ma si è trattato solo di un assaggio. Giovedì si torna di nuovo in aula con l’ex portiere Luigi Simoni, l’amico del cuore di Bergamini. E si parlerà ancora della «gelosia» di Isabella.
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