Il luogo dell'omicidio di Antonio Taranto
2 minuti per la letturaCOSENZA – Sedici anni di carcere sono stati chiesti ieri per Domenico Mignolo durante il replay del processo d’Appello che tenta di far luce sull’omicidio di Antonio Taranto consumato in via Popilia il 29 marzo del 2015.
Ieri, il pg Raffaella Sforza ha riproposto la requisitoria d’accusa dopo la ripetizione disposta dalla Cassazione che ha messo in discussione la condanna inflitta a Mignolo sia in primo che in secondo grado. In entrambi i casi, gli anni di carcere caricati sul suo groppone erano stati diciotto.
L’annullamento dei precedenti verdetti si doveva ai bossoli rinvenuti sull’asfalto di via Popilia, un dettaglio sui quali due Tribunali avevano sorvolato, sposando la tesi del sicario che spara dal balcone, ma senza giustificare la presenza all’esterno di quei reperti che sembrano rimandare a una dinamica differente. La questione, sollevata dagli avvocati difensori Filippo Cinnante e Andrea Sarro era stata accolta dagli ermellini, comportando così la ricelebrazione del processo tuttora in corso.
L’ipotesi della Procura è che il delitto sia l’epilogo tragico di una resa dei conti tra ex amici, in quei giorni divisi da risentimenti feroci. Il sospetto, peraltro, è che l’allora ventottenne Taranto non fosse neanche il vero bersaglio, ma che nel mirino vi fosse invece Leonardo Bevilacqua, 40 anni.
Tutto sarebbe maturato nel seno del clan degli zingari, consorteria attorno alla quale ruota buona parte dei protagonisti di questa vicenda. A quei tempi, infatti, il gruppo era sull’orlo di una scissione poi scongiurata, ma proprio quel contesto turbolento avrebbe fatto da sfondo ai tragici fatti del 29 marzo. Non a caso, quella notte i rancori avrebbero superato il punto di non ritorno quando all’interno di una discoteca di Rende, Mignolo si imbatte in Bevilacqua e i suoi amici. Tra questi, c’è anche Taranto.
Mignolo e Bevilacqua litigano, ma poi le due fazioni lasciano il locale e si danno appuntamento in via Popilia, nella piazzetta dove, l’una di fronte all’altra, sorgono le palazzine in cui vivono Domenico e Leonardo. Qui finisce la cronaca e cominciano le ipotesi investigative: Mignolo è già in casa quando la comitiva a lui avversa si dispone sotto l’edificio. Domenico si affaccia dal balcone e comincia a sparare. Udito il primo colpo, Taranto fugge verso il palazzo di Leonardo, nella speranza di trovarvi riparo, ma un altro proiettile lo centra alla schiena. Riesce a entrare nel portone, ma poi stramazza al suolo.
Fin qui i sospetti, che ora dovranno trovare conferme o smentite in un processo nel quale i familiari di Taranto sono rappresentati dagli avvocati Maria Rosa Bugliari, Angela D’Elia e Francesco Tomeo. Il processo riprenderà il 7 febbraio.
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