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COLTIVARE marijuana non è reato, specie se la piantagione è di modeste dimensioni. Le sei piante rinvenute a settembre del 2018 nel giardino di casa di I. D.R., 36enne residente in contrada Feudo (Cosenza) rientrano in questa casistica, ma per dimostrarlo c’è voluto un processo durato tre anni al termine del quale il giudice Iole Vigna ha così sentenziato: «Il fatto non sussiste».

Tuttavia, oltre alle indicazioni in materia di droga offerte dalla Cassazione su ciò che è reato e ciò non lo è, alle quali si è richiamato il giudice, c’era un ulteriore buon motivo per scagionare il coltivatore domestico: quell’erba, infatti, gli serviva a scopo terapeutico. È stata questa la linea difensiva che, proposta in aula dal suo avvocato Maurizio Vetere, ha finito per convincere anche la Procura, accodatasi poi a chiedere l’assoluzione dell’imputato.

Singolare la disavventura clinica di quest’ultimo. Affetto da guai fisici che in passato lo hanno portato sotto ai ferri, si è ritrovato a pesare solo quaranta chili a fronte di una mole che in precedenza si assestava sul quintale. A seguito di quel dimagrimento sensazionale, si era ritrovato alle prese con un ulteriore problema: l’inappetenza. Il trentaseienne faceva fatica a nutrirsi, ragion per cui quella marijuana gli serviva proprio a stimolare l’appetito, la cosiddetta “fame chimica” che i cannabinoidi sono soliti generare. Corposa, in tal senso, la documentazione clinica presentata in aula da Vetere, inclusiva dell’odissea sanitaria affrontata dal suo cliente per curare il disturbo alimentare che lo assilla da anni.

Per un periodo, ha fatto uso di Bedrocan, farmaco a base di cannabis consigliatogli da un medico milanese, ma si è trattato di una tantum. Nessun altro sanitario del posto, infatti, ha inteso prescrivergli quella terapia, rendendogli così impossibile accedere all’agognata medicina. E così ha deciso di mettersi in proprio, autoproducendosi la cura per lui più adatta. Nel suo garage sono stati rinvenuti anche una bilancina di precisione e materiale per il confezionamento, ma tant’è: servivano per pesare ortaggi e confezionare pane, attività con le quali I.D.R. provvede in parte al proprio sostentamento. Al resto, ci pensa la pensione di reversibilità della mamma.

Insomma, un caso umano più che uno spacciatore. È anche sulla scorta di queste valutazioni che si è arrivati alla sua assoluzione, ma con a margine una beffa finale: il giudice, infatti, ha disposto la distruzione della marijuana sequestrata «stante la sua intrinseca illiceità».     

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