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Il Comune di Cosenza

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COSENZA – Per dieci anni è stato la sua casa. Non il padrone, ma comunque il suo primo inquilino. Ora, però, per Mario Occhiuto Palazzo dei Bruzi assume ufficialmente le sembianze di un luogo ostile.

Nelle scorse ore, infatti, il Municipio ha annunciato la propria costituzione a parte civile nel processo che vede l’ex sindaco imputato per truffa e peculato insieme al suo segretario dell’epoca, Giuseppe Cirò, e ad altri due funzionari comunali.

La decisione è stata ratificata nel corso dell’ultima riunione di Giunta, con una delibera che autorizza il primo cittadino Franz Caruso a presentare apposita richiesta ai giudici il prossimo 10 dicembre, data di celebrazione della prima udienza. La proposta avanzata dall’Avvocatura comunale è stata approvata all’unanimità dagli assessori, metà dei quali fino a pochi mesi fa in quota alla maggioranza occhiutiana a conferma di come eventuali paralleli con le Idi di marzo siano sconfessati solo in termini temporali. Insomma, Occhiuto contro Cirò e il Comune contro entrambi.

L’inchiesta sulla presunta “rimborsopoli” di Palazzo dei Bruzi si fonda su questo conflitto all’ultimo sangue: la parola dell’ex sindaco contro quella del suo ex segretario. E il fatto che oggi si ritrovino entrambi imputati dimostra quanto le rispettive verità siano parallele e dunque inconciliabili.

Il tema è quello delle spese sostenute dal primo cittadino tra il 2013 e il 2016 per missioni istituzionali, in gran parte nella Capitale, che hanno comportato l’acquisto di biglietti aerei, il pagamento di alberghi e di spese conviviali di volta in volta rimborsati dal Municipio. Il punto è che, in realtà, tali viaggi non si sarebbero mai svolti. Questo, almeno, è il sospetto della Procura che quantifica in circa ottantamila euro la cifra sottratta alla disponibilità del Municipio in quattro anni grazie anche alla produzione di ricevute false che avrebbero indotto in errore il settore Economato.

Al riguardo, Occhiuto non ha dubbi: la colpa è tutta di Cirò, tant’è che a marzo del 2017, accortosi dell’inganno l’allora sindaco lo licenzia in tronco e, poche ore dopo, va a denunciarlo in Procura. A quel punto, però, l’ex segretario passa al contrattacco: non solo sostiene di non aver mai intascato neanche un euro, ma aggiunge di aver sempre consegnato tutti quei soldi a Occhiuto che, a suo dire, aveva costante bisogno di denaro liquido per ottemperare alle spese quotidiane e pertanto aveva chiesto al suo segretario di trovare un modo per procurarglielo. Chi ha ragione e chi ha torto?  Accuse concrete o insinuazioni «dettate dal risentimento»? Sarà il processo a stabilirlo, ma da ieri c’è uno spettatore interessato in più.

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