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Donato Bergamini

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COSENZA – La sua deposizione è durata quattro ore, ma ne serviranno almeno il doppio per completare l’opera. Ornella Quintieri, ispettore in forza alla pg del tribunale di Castrovillari, ha inaugurato ieri la sedia su cui transiteranno altri 229 testimoni del processo che mira a far luce sulla morte di Donato Bergamini, il calciatore del Cosenza investito da un camion il 18 novembre del 1989.

Una vicenda che due inchieste giudiziarie, una avviata nell’immediato e l’altra più di recente, hanno inquadrato come suicidio o al più incidente, ma che oggi la terza si propone di riscrivere assegnandole una matrice molto diversa: quella dell’omicidio.

Alla sbarra, com’è noto, c’è Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore che nel corso del tempo ha sempre riferito di aver visto il ragazzo lanciarsi volontariamente sotto le ruote del camion come «un tuffatore in piscina», ma che secondo la Procura è molto più della semplice testimone oculare di una tragedia: è l’istigatrice di un delitto mascherato da suicidio. Una macchinazione che l’allora diciannovenne studentessa di Ragioneria avrebbe ordito in concorso con alcuni suoi familiari, sfiorati dalle indagini ma non coinvolti nel processo. Quali familiari? E perché? Sarà la Quintieri a spiegarlo oggi in aula affiancata dal suo assistente Pasquale Pugliese.

Le 1600 pagine della informativa su cui sono apposte in calce le loro firme si aprono infatti con una lunga introduzione sulla vita quotidiana della vittima, sulla sua permanenza a Cosenza nella squadra che lo aveva lanciato sulla ribalta del calcio professionistico, e soprattutto sul rapporto sentimentale che lo legava alla Internò, avviato nel 1985 e concluso pochi mesi prima della sua morte con in mezzo una gravidanza interrotta. Proprio l’aborto, risalente a due anni prima dei fatti di Roseto Capo Spulico, rappresenta per gli investigatori il cuore del problema, l’anticamera del delitto d’onore di cui sarebbe rimasto vittima il calciatore.

Come la Procura sia giunta a tali conclusioni, sarà ancora il duo Quintieri-Pugliese a spiegarlo, ma per il momento il loro contributo si è limitato a dati di contesto: l’ultima intervista di Bergamini – quella in cui dice «Mi piace vivere» – peraltro visionata ieri in aula dai giudici della Corte d’assise; la gelosia di Isabella, «morbosa» secondo la tesi d’accusa e contrapposta a quella di Denis, presente ma non così ossessiva. E con la ragazza che per giunta «mirava sposare il calciatore, mentre i progetti futuri di Bergamini non includevano lei».

Sarà davvero così? Saranno i testimoni a chiarirlo, alcuni più degli altri, con un occhio anche alla tempestività delle loro affermazioni. L’inchiesta ha prodotto una mole spaventosa di atti giudiziari, per lo più accertamenti risultati poi ininfluenti, come la pista di un secondo aborto di Isabella suggerita da un’amica di Denis, ora deceduta, rispetto alla quale gli inquirenti hanno cercato a lungo un riscontro. Per farlo, hanno passato al setaccio le cliniche e gli ospedali di tutt’Italia, isole comprese, ma senza costrutto.

E non solo: è stata passata al vaglio anche la documentazione relativa ad altri due incidenti avvenuti sempre sulla Ss 106 jonica: il primo risale a qualche mese dopo quello di Bergamini e riguarda gli allora magazzinieri del Cosenza, Alfredo Rende e Mimmolino Corrente, deceduti nello scontro un camion; l’altro d’un paio d’anni successivo, tocca ancora in modo diretto la squadra rossoblù con la morte del centrocampista Massimiliano Catena. Anche in questo caso si è andati a lungo in cerca di un collegamento con queste vicende laddove, però, un collegamento vero non c’è. Esauriti i primi tre capitoli dell’informativa, ne restano altrettanti. Su quelli relazioneranno oggi i testimoni al loro ritorno in aula. Aspettando le conclusioni.

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