La Corte di Cassazione
2 minuti per la letturaAMANTEA (CS) – Lesioni aggravate e in concorso: giudicato inammissibile il ricorso in Cassazione presentato da Paolo Launi, 50 anni, di Amantea.
In virtù del pronunciamento dei giudici romani, dunque, passa definitiva la condanna inferta all’uomo dalla Corte di Appello di Catanzaro il 18 gennaio 2019, che prevedeva anche il risarcimento del danno alla parte civile.
Senza considerare il fatto, infine, che la stessa Cassazione ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende di euro 3.000. In particolare, nel ricorso, l’imputato aveva lamentato violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla sussistenza dei fatti ed alla valutazione delle prove per la sentenza della Corte di Appello. Per la Cassazione: «Il ricorso è inammissibile, per assenza di specificità, in quanto fondato su censure che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame.
La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), codice procedura penale, all’inammissibilità».
Nel caso di specie la sentenza impugnata, «ha ricostruito in maniera del tutto accurata ed analitica la vicenda processuale, dando conto dell’attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono connotate da precisione e linearità, e dai riscontri alle dichiarazioni della stessa, costituiti dalla deposizione testimoniale del teste». Il procedimento penale a carico dell’amanteano, lo ricordiamo, era stato aperto a seguito della denuncia presentata dall’ex compagna e legato a un’aggressione subita da Launi, dopo la sua uscita dal carcere, dove aveva scontato la pena definitiva per il processo antimafia denominato “Nepetia”.
Secondo la denuncia della vittima, infatti, Paolo Luani l’aveva massacrata di botte e poi era fuggito via temendo di essere arrestato. Timore rivelatosi poi fondato (la scarcerazione è sopraggiunta nel 2020). Launi, nell’operazione “Nepetia”, è stato ritenuto il “braccio armato” della cosca, nonché esecutore materiale dell’attentato a un professionista del luogo.
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