La clinica Villa Verde
2 minuti per la letturaCOSENZA – Dieci anni per Arturo Ambrosio e nove per il suo collega Franco Ruffolo, cinque anni per Gabriele Quattrone e quattro anni e mezzo per Caterina Rizzo. Sono queste le richieste di pena formulate ieri nei confronti dei quattro imputati del processo “Villa verde”, la clinica cosentina in cui, secondo la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, alcuni medici sfornavano compiacenti perizie in favore dei boss, facilitando così la loro scarcerazione.
Dopo la requisitoria del pubblico ministero, in aula si è tenuta l’arringa difensiva dell’avvocato Carlo Monaco in sostituzione dell’avvocato Anna Maria Domanico. I lavori sono stati poi aggiornati a domani quando a discutere saranno i legali Franco Sammarco, Enzo Belvedere, Innocenzo Palazzo, Nicola Rendace e Lucio Esbardo.
Il 7 dicembre è in programma invece l’ultima seduta che dovrebbe coincidere anche con la pronuncia della sentenza di primo grado. Sotto accusa ci sono i medici Arturo Ambrosio e Franco Ruffolo, entrambi in servizio a “Villa verde” e il neuropsichiatra Gabriele Quattrone, primario di neurologia del policlinico “Madonna della Consolazione” di Reggio Calabria.
I primi due sono imputati per concorso esterno in associazione mafiosa mentre Ruffolo e Quattrone, insieme a Caterina Rizzo – moglie dell’ex boss pentito Antonio Forastefano – rispondono del reato di corruzione aggravata da finalità mafiose.
Al centro dell’inchiesta i presunti rapporti di complicità tra i medici e il clan Forastefano finalizzati a evitare il carcere agli affiliati. I professionisti, in pratica, avrebbero rilasciato certificazioni sanitarie attestando che i loro “clienti” erano affetti da patologie neuropsichiatriche incompatibili con la detenzione e in cambio avrebbero ottenuto denaro e altre regalie.
Centrali ai fini della ricostruzione d’accusa sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Samuele Lovato, Salvatore Lione e Lucia Bariova, tutti elementi di spicco del clan Forastefano e ai loro racconti si aggiunge la consulenza redatta da Ambrosio e Ruffolo proprio in favore del boss Forastefano e dalla successiva perizia svolta da Quattrone che certificavano, in modo concorde, l’incompatibilità del boss cassanese con il regime carcerario.
Due documenti che, secondo l’accusa, sono viziati da falsità e che rappresentano, dunque, la prova della vicinanza dei medici alla cosca. In precedenza, altri due imputati erano usciti di scena con il rito abbreviato: si tratta del medico Pasquale Barca e del pentito Lovato.
A seguito del pentimento del boss vibonese Andrea Mantella è emerso anche il presunto trattamento di favore accordato proprio a lui ai tempi del suo ricovero nella struttura sanitaria di Donnici e, con riferimento a questa vicenda, è tuttora in corso un altro processo con a giudizio nove persone.
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