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Marcello Manna

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COSENZA – «Ho sempre sospettato che il dottor Petrini sia stato indotto ad accusarmi per poter uscire dal carcere. Ora so che è andata esattamente così».

Ci va giù duro Marcello Manna, avvocato penalista e sindaco di Rende (Cosenza), a pochi giorni dalla chiusura delle indagini preliminari sulla presunta corruzione in atti giudiziari tra lui e l’ex presidente di sezione della Corte d’appello di Catanzaro.

Corruzione finalizzata a cosa? «Mi sono state attribuite e cambiate quattro condotte. Inizialmente Ioele e in parte Patitucci, poi Patitucci, Ioele e Citrigno insieme con un collega – Luigi Gullo, ndr – e in concorso con Patitucci. Dopo il mio interrogatorio la vicenda Ioele sparisce e oggi non ci sono più Patitucci e il collega.  Restiamo solo io e Petrini. E il video».

È un fiume in piena Manna, inzialmente restio a parlare («solitamente non commento inchieste o processi») ma quasi «obbligato a farlo», così dice lui, dopo aver visionato gli atti d’indagine che lo riguardano.

Tutto parte dall’ormai famoso video che il 30 maggio del 2019 documenta il suo incontro con Petrini, nell’ufficio catanzarese di quest’ultimo, già da tempo monitorato dalla telecamera della Guardia di finanza che indaga sul mercimonio di sentenze e altri provvedimenti di favore che il giudice attua in cambio di soldi e regalie di vario tipo.

C’è una cartella con l’intestazione del suo studio legale («assurdo, come se avessi voluto metterci la firma») che l’avvocato cosentino consegna nelle mani di Petrini e che, secondo la Procura di Salerno, rappresenta il corpo del reato: una mazzetta elargita in cambio di un verdetto favorevole. Per il dissequestro dei beni di un imprenditore (Antonio Ioele) cliente di Manna, si ipotizza in principio; per far assolvere il boss Francesco Patitucci dall’accusa di omicidio sarà la correzione operata in seguito, un balletto di interpretazioni favorito poi dal reo confesso Petrini che, inizialmente nega di aver fatto affari col sindaco rendese, poi ondeggia ripetutamente con il risultato di confondere le acque e portare a spasso gli investigatori per mesi e mesi.

Il punto, però, è che secondo Manna è vero l’esatto contrario: «Petrini è stato un mezzo per costruire una o più accuse». Sempre più duro, insomma. Del resto, su come siano andati davvero i fatti in quel giorno incriminato, lui la linea non l’ha mai cambiata, l’ha sempre mantenuta ferma: «In quella cartella c’erano una una sentenza della Corte costituzionale e un documento sull’astensione degli avvocati dalle udienze che gli avevo prodotto in visione» obietta fin dal principio, ma tant’è: mentre a gennaio del 2020 il corrotto Petrini e altri corruttori, acclarati o presunti, individuati nel corso dell’inchiesta finiscono in carcere, la vicenda del sindaco di Rende resta nel limbo.

E il motivo è da ricercare proprio nelle mille incertezze sollevate proprio da quel video. Ottocento per la precisione, tante quante le anomalie riscontrate dal Ris di Roma, che quel filmato l’ha sottoposto a perizia rilevando tante interruzioni e un audio più lungo del girato. «Al riguardo avevo fatto fare già una mia perizia di parte, ed è strano che i Ris intervengano solo a seguito della mia attività difensiva. In tutto ciò sulla stampa è finito solo un fotogramma di dubbia originalità che decontestualizzato e senza audio offre solo un’informazione falsa, calunniosa e servile rispetto a certi poteri». È anche per questo motivo che la sua intenzione è quella di chiedere ora «agli organi preposti» un controllo sulla correttezza di tutti gli atti d’indagine che lo hanno riguardato nell’ultimo biennio giacché, a suo avviso,  tutto ciò c’entra poco  con l’inchiesta penale, ma ha «finalità diverse e inquietanti».

Dopo essersi incartati tra Ioele e Patitucci, infatti, gli investigatori provano ad allargare il  raggio d’azione, prova ne è il fatto che, a un certo punto, all’accusa di corruzione si aggiunge quella, poi accantonata, di voto di scambio politico-mafioso, «reati per i quali la Procura di Salerno non è competente». E ancora, nell’elenco figurano  colloqui investigativi che Manna definisce «oscuri» come quelli con sei collaboratori di giustizia che quasi all’unisono, nell’arco di poche settimane, chiedono di essere sentiti dai magistrati campani per parlare di lui. Alla fine di questo sforzo investigativo resterà poco: il finanziamento accordato al nipote-regista di Petrini per il tramite della Film commission calabrese e la vicenda Patitucci, riconsiderata però nel movente che l’avrebbe ispirata. Non a caso, nella versione definitiva della Procura, l’assoluzione del reggente del clan Lanzino sarebbe servita a far ottenere a Manna l’appoggio di quella cosca in vista del ballottaggio elettorale tra lui e Sandro Principe in programma due settimane dopo il suo incontro con Petrini. Di tutto e di più insomma, circostanza che induce il diretto interessato a rilevare «una  ricerca ossessiva dei reati da contestare. Della serie: abbiamo l’indagato, troviamo il reato».

Con a margine un brivido: quello di ben due richieste di arresto avanzate dalla Procura e respinte entrambe dal gip di Salerno. Di questo e altro Marcello Manna spiega di voler parlare al più preso con il procuratore Giuseppe Borrelli. Contrattacco giudiziario in vista? Da accusato passerà ad accusatore? Manna si sente un perseguitato, la certezza del momento è  questa, e sospetta che dietro la sua disavventura si celi una regia che riguarda la politica. «C’è da chiedersi però chi sia il regista», conclude, «e questo non può essere Petrini».

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