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Raffaele Pisano ai tempi del processo per omicidio colposo

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COSENZA – L’uscita di scena di Raffaele Pisano dall’inchiesta sulla morte di Donato Bergamini fa calare il sipario investigativo su un personaggio che è sempre stato considerato a torto comprimario di un dramma che, invece, ha in Isabella Internò la protagonista unica e indiscussa.

Non è così, perché nei tragici eventi del 18 novembre 1989, il camionista rosarnese gioca un ruolo forse ancora più importante dell’ex fidanzata del calciatore, oggi indagata in solitario per il suo presunto omicidio.

Anche lui, all’epoca dei fatti cinquantenne e oggi ottuagenario, dal 2010 in poi ha condiviso lo stesso destino giudiziario, sospettato di essere un ingranaggio di quel complotto ordito proprio dalla Internò in concorso con ignoti. Tutto questo ha fatto sì che per oltre un decennio, si sia proposta la tesi di un Bergamini ucciso o ridotto all’impotenza e poi adagiato sull’asfalto in attesa che il camion di Pisano, con moto lento e assassino, arrivasse a completare l’opera. La chiusura delle indagini preliminari decretata tre giorni fa revisiona questa ricostruzione dei fatti.

La posizione di Pisano, infatti, è stata archiviata e per escluderlo dall’inchiesta gli inquirenti hanno utilizzato una formula ambigua. Da un lato, infatti, si ammicca al principio del ne bis in idem – nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato – evidenziando come, con riferimento alla stessa vicenda, l’uomo sia stato già processato nel 1990 e assolto dall’accusa di omicidio colposo.

Diverse sentenze di Cassazione escludono la possibilità che una modifica dell’imputazione – in questo caso si passa all’omicidio volontario – renda nuovamente processabile chicchessia, ma se la Procura fosse convinta della sua colpevolezza, una rinuncia preventiva al tentativo di incriminazione appare, da parte sua, quantomeno insolita. Possibile, ma comunque insolita. Al tempo stesso, però, nel capo d’accusa formulato contro la Internò si evidenzia come gli assassini abbiano posizionato il corpo di Denis sul manto stradale della Ss 106 jonica per «esporlo» al passaggio dei mezzi in transito, lasciando intendere dunque che contassero sul contributo casuale e non volontario di qualche automobilista di passaggio.

Non si comprende, insomma, se per gli inquirenti Raffaele Pisano sia un colpevole che l’ha fatta franca o solo un ignaro passante rimasto invischiato suo malgrado in una vicenda più grande di lui, ed è un dilemma che, evidentemente, si è ritenuto di poter risolvere depennando il suo nome dall’elenco degli indagati. La sua figura, però, non può essere accantonata ex abrupto perché intimamente connessa dal punto di vista giudiziario a quella della Internò di cui, volente o nolente, appare come il principale testimone difensivo.

Per undici lunghi anni gli investigatori hanno frugato nelle loro vite private in cerca di un indizio che potesse metterli in relazione, ma non è emerso davvero nulla per adombrare, anche solo lontanamente, la benché minima conoscenza pregressa tra un autotrasportatore di cinquant’anni residente nel Reggino e una studentessa di Ragioneria diciannovenne e originaria di Cosenza. Insomma, prima che i loro destini si incrocino al km 401 della Statale jonica, Isabella e il camionista sono due perfetti sconosciuti, e che quel giorno lui sia solo uno che passa di lì per caso, sembra dimostrarlo la testimonianza di un altro camionista che il 18 novembre a sera percorre la stessa strada.

Poco prima, Francesco Forte si è fermato a comprare le sigarette ed esita a reimmettersi sulla Ss 107 perché vede un altro automezzo sopraggiungere da lontano. È proprio il Fiat Iveco di Pisano e Forte decide di farlo passare, «così se più avanti ci sono i carabinieri fermano lui e non me», pensa. Si mette in scia di quel camion, ma dopo qualche minuto si accorge che lo stesso frena all’improvviso per poi arrestare la marcia.

Si avvicina all’abitacolo e vede il conducente in stato di choc, mentre sotto la sua ruota anteriore destra giace un corpo: è quello del povero Bergamini. «Avrei potuto investirlo io» aggiungerà in seguito Forte, manifestando un pensiero che, a suo dire, lo tormenta da anni. Tutto per una precedenza data nei pressi di una stazione di servizio, porta girevole scelta dal destino per inguaiare qualcuno e salvare qualcun altro.

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Con queste premesse allora, anche per il più colpevolista degli investigatori diventa arduo ipotizzare che Pisano abbia fatto parte di una cospirazione omicida, ma considerarlo estraneo ai fatti rischia di essere per certi versi ancora più controproducente. «Si è buttato come un fulmine», il camionista ha sempre descritto così la condotta di Bergamini in quell’istante fatale, assumendosi la responsabilità di aver investito una persona in posizione eretta, non distesa sul manto stradale perché già morta o priva di sensi. Se lui è innocente, allora non si dovrebbe dubitare neanche della sua parola; e se davvero, come dice, Bergamini era ancora in piedi un attimo prima del passaggio del camion, la teoria del complotto omicidiario si ritrova davanti a uno scoglio forse insormontabile.

Del resto, quale ragione avrebbe avuto per mentire? All’epoca si guadagnava da vivere rifornendo di verdura e agrumi i mercati ortofrutticoli. Lunghi viaggi, partendo ogni volta da Rosarno e poi su e giù per l’Italia a pieno carico. Quel giorno era diretto a Rimini e ne trasportava uno di mandarini. Il peggio che potesse capitargli in quel momento, dunque, era di vedersi ritirare la patente, epilogo che lo avrebbe affossato in termini lavorativi.

Per lui, allora, sarebbe stato molto più conveniente sostenere la tesi del corpo già coricato sull’asfalto, circostanza che lo avrebbe messo al riparo da conseguenze penali che, invece, ha scelto di affrontare fino in fondo. Non a caso, nel 1990 Raffaele Pisano ha subito un processo durante il quale, da imputato, ha reso in aula una lunga testimonianza rallentata a più riprese da lacrime e singhiozzi, a riprova della pena interiore che quella vicenda gli aveva lasciato in eredità. In quel caso, decisiva per la sua assoluzione sarà proprio la Internò, ferma nel proporre la tesi di Denis che si tuffa volontariamente sotto al camion.

Il pretore dell’epoca giudica il suo racconto credibile perché «impopolare», passibile di riprovazione da parte di chi, da quel momento in poi, l’avrebbe additata quale responsabile morale di quel suicidio. Una piccola pietra piovuta sulla sua testa trent’anni fa, ben poca cosa rispetto alla sassaiola dell’ultimo decennio.

Il corpo di Bergamini davanti al camion di Pisano

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