Il luogo dell'omicidio
2 minuti per la letturaCOSENZA – Per oltre cinquanta testimoni, il crepitio delle pallottole in casa De Marco, nella tragica notte del 16 febbraio 2011 a San Lorenzo del Vallo (COSENZA) (LEGGI LA RICOSTRUZIONE DEL DUPLICE OMICIDIO), erano solo «fuori pirotecnici» o al più rumori dettati dal maltempo. Ed è stato davvero un temporale quello piovuto addosso a Rosellina e Barbara Indrieri, madre e figlia: sono loro le vittime della mattanza avvenuta quasi sette anni fa e altrettanto chiara, secondo i giudici, è l’identità dei carnefici che, armi in pugno, hanno fatto irruzione nel loro appartamento: si tratta di Francesco Scorza (34 anni) e Domenico Scarola (30), condannati ieri all’ergastolo in via definitiva dopo un processo lampo in Cassazione.
Confermati, dunque, i due precedenti verdetti che avevano individuato nella vendetta la causale di quella strage. Un mese prima, infatti, Aldo De Marco, cognato e zio delle due vittime, aveva ucciso all’acme di un litigio il ventenne Domenico Presta, figlio del boss Franco all’epoca ancora latitante. Francesco e Domenico, amici d’infanzia del ragazzo, avrebbero attuato quella rappresaglia feroce consistita nell’omicidio di due donne. Quella notte, il bilancio avrebbe potuto essere ancora più drammatico dato che in camera da letto dormiva Gaetano De Marco, il papà di Barbara, rimasto invisibile agli occhi dei killer, ma per lui, l’appuntamento con la morte era rimandato di soli due mesi.
Gli assassini, però, hanno commesso un altro errore: lasciare in vita un altro membro della famiglia, Silas De Marco, ferito ma non ucciso dalla raffica di Uzi esplosa contro di lui. Il suo racconto è il totem attorno al quale è stato costruito il verdetto di colpevolezza. Il riconoscimento è arrivato molti mesi dopo il delitto e, in seguito, il diretto interessato, giustificherà la sua iniziale reticenza con la paura nutrita nei confronti di un «Presta ancora in libertà». Ha cambiato anche versione Silas, descrivendo prima un killer che imprecava al suo indirizzo «in dialetto roggianese» salvo renderli poi entrambi silenziosi, impegnati a parlare solo con la mitraglietta e le pistole.
I giudici gli hanno creduto in tutti e tre i gradi di giudizio, nonostante le contraddizioni e i numerosi dubbi che questa vicenda è destinata ad alimentare. Su tutti, il ruolo giocato dallo stesso Franco Presta, mai indagato come mandante della strage, ma continuamente evocato nel corso dell’inchiesta, autentico convitato di pietra del processo. E sullo sfondo l’omertà circostante che due mesi più tardi calerà ancora su San Lorenzo. L’omicidio ancora insoluto di Gaetano De Marco, infatti, è il secondo capitolo sanguinoso di una faida che, per ora, consegna alla giustizia due responsabili. I dubbi, però, permangono. Proprio come la paura, che lo scorso 30 ottobre, è tornata a bussare alle porte della cittadina dell’Esaro con l’esecuzione di altre due donne innocenti. Questa, però, è un’altra storia.
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